venerdì 20 gennaio 2012

Mediobanca torna in cabina di regia con Renato Pagliaro e Alberto Nagel

Alberto Nagel
Alberto Nagel
È il momento dei tecnici: a Roma il Governo dei professori, a Mediobanca il governo dei banker. Mediobanca è tornata a essere uno snodo centrale nel riassetto del capitalismo nostrano: è particolare che, per merito o eredità, nel susseguirsi di operazioni destinate a modificare la geografia della finanza italiana, negli ultimi tempi si sia sempre ritrovata a centro campo.
La terza generazione manageriale guidata dal presidente Renato Pagliaro e dall'ad Alberto Nagel ha dato però un'impronta nuova alla regia delle operazioni dell'istituto. Sotto l'egida di Enrico Cuccia, il ruolo di cassa di compensazione del capitalismo nostrano si era riflesso nella complessa ragnatela di partecipazioni incrociate che tutt'oggi in parte resiste. Nella stagione di Cesare Geronzi, l'expertise professionale della banca aveva dovuto in qualche modo fare i conti con il capitalismo di relazioni di cui l'ex presidente era gran maestro.
Il passato è passato, ma l'eredità va gestita. La partita aperta del momento – quella di FonSai – era iniziata con Mediobanca sotto scacco. Titolare di un'esposizione da oltre 1 miliardo nei confronti della compagnia – frutto di un prestito senior concesso nel 2003 dall'allora ad Vincenzo Maranghi – l'istituto era stato relegato allo scomodo ruolo di spettatore al tentativo di riassetto centrato sull'ingresso di Groupama nella holding Premafin. La sorprendente evoluzione della vicenda, dopo l'approdo alla direzione generale di FonSai di Piergiorgio Peluso (proveniente da UniCredit, ma con un trascorso nel team di Mediobanca), ha visto invece Mediobanca nel ruolo di pivot con una soluzione assicurativa – l'aggregazione con Unipol – che, per materializzarsi, ha comunque dovuto districarsi tra i vincoli del contesto. Chiaro che per la compagnia delle coop rosse puntare direttamente su FonSai, ignorando Premafin, avrebbe consentito un minor dispendio di energie e di quattrini. Ma senza passare dal salvataggio della holding dei Ligresti, l'operazione non si sarebbe mai concretizzata, visto che UniCredit, azionista obbligato di FonSai con il 6,6% rilevato con l'ultimo aumento di capitale, è esposta consistentemente anche sulla filiera non quotata a monte.
Anche su Edison era iniziata male. Qui si risale indietro di un decennio, ai tempi in cui la scalata Fiat-Edf a Montedison aveva sottratto all'istituto una provincia rilevante dell'impero. Mediobanca era poi rientrata in gioco, con tutt'altro ruolo che quello del "padrone", in appoggio alla cordata italiana che ha tentato il condominio con i francesi nell'attività dell'energia sulla quale si era rifocalizzato il gruppo di Foro Buonaparte. Il compromesso sulla spartizione di Edison tra Edf e le municipalizzate capeggiate da A2A non porta però la firma di Mediobanca, che si è limitata a sottoscrivere la soluzione condotta in porto da Corrado Passera, già in veste di ministro dello Sviluppo economico.
C'è poi il capitolo delle ricapitalizzazioni del credito. Mediobanca si è assunta rischi da capogiro garantendo l'infornata di aumenti di Ubi, Banco Popolare, Mps, Bpm, fino ad arrivare a UniCredit, dove il suo pro-quota, col cappello di co-global coordinator, è di 750 milioni tondi. Ma dove l'intervento dei "tecnici" di Mediobanca è stato davvero di rottura è nella messa in sicurezza della Popolare di Milano, che non avrebbe potuto raccogliere 800 milioni sul mercato senza una svolta nella governance, posta come pregiudiziale dall'istituto guidato da Alberto Nagel per garantire il 30% dell'inoptato. Così, concordando i passi con la Banca d'Italia, si è arrivati al sistema duale e alla consegna delle leve operative a Piero Montani, un manager che proprio Mediobanca anni fa aveva sponsorizzato per l'operazione di risanamento della Popolare di Novara sfociata nelle nozze con la Verona. Anche in Mps è approdato, fresco di nomina, un manager in ottimi rapporti con la premiata ditta, Fabrizio Viola (ex Bper ed ex Bpm). Mediobanca - che ha curato l'ultima ricapitalizzazione da 2,15 miliardi del Monte, ha partecipato al finanziamento da 600 milioni per consentire alla Fondazione di seguire l'aumento e ancor prima aveva confezionato l'operazione dei bond Freshes – probabilmente avrà un ruolo anche nella ristrutturazione della banca tesa a evitare l'ulteriore maxi-aumento suggerito dall'Eba che polverizzerebbe il controllo dell'Ente.
Dalla finanza alla governance, il confine qualche volta è labile. Dall'aggiustamento soft su Telecom con la presidenza esecutiva affidata a Franco Bernabè, a quello clamoroso su Generali sfociato nelle dimissioni di Geronzi. Prossimo test Rcs (che in primavera rinnova il board), dove già la Mediobanca della terza generazione si è fatta promotrice del riassetto che riconsegnato centralità, anche rispetto al patto, al cda della holding, con l'abolizione del consiglio della Quotidiani in formato grandi soci.
(da Il Sole 24 Ore)

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