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lunedì 3 febbraio 2014

Volano le tasse sugli immobili

Prepariamoci a pagare sempre di più...
La Stampa: il mattone sempre più nel mirino del fisco: pesano Imu, Tasi e prelievo sui rifiuti

Si pagheranno più tasse per gli immobili quest’anno. Il peso fiscale su questo tipo di beni, infatti, supererà nel 2014 i 52 miliardi di euro: ben 2,9 miliardi in più rispetto al 2013. Non solo: dall’inizio della crisi il livello di tassazione sulle case, sui negozi, sugli uffici e sui capannoni è aumentato di ben 10 miliardi. I dati sono stati elaborati dalla Cgia e indicano, secondo l’associazione degli artigiani veneta, ancora una volta come il “mattone” sia sempre più nelle mire del fisco con l’obbiettivo di far cassa.

«Se in questi ultimi otto anni il prelievo legato alla redditività degli immobili è rimasto pressoché uguale - precisa Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia - quello riferito ai trasferimenti di proprietà è addirittura sceso del 23%, a seguito della fortissima crisi che il mercato immobiliare ha subito in questi ultimi anni. Solo il gettito riconducibile al possesso dell’immobile - osserva - ha subito un vera e propria impennata: dal 2007 ad oggi è cresciuto del 78%. Tra l’Imu, la Tasi e il nuovo prelievo sui rifiuti (Tari), quest’anno pagheremo quasi 31 miliardi di euro». Per Bortolussi questo importo «incide sul prelievo totale per quasi il 60%’’.

«Tenendo conto di tutto il sistema fiscale che grava sul mattone - afferma l’associazione nel suo rapporto sul carico fiscale sugli immobili - quest’anno i proprietari di immobili pagheranno quasi 3 miliardi in più rispetto all’anno precedente. Una buona parte di questo rincaro, secondo lo studio, va addebitato all’introduzione della Tasi che appesantira’ il prelievo fiscale soprattutto sui proprietari di seconde e terze case e su quelli che possiedono un immobile ad uso produttivo”. La Cgia ricorda che negli ultimi 8 anni il prelievo sui rifiuti è aumentato del 66%: era pari a 4,6 miliardi ed ora ha raggiunto quota 7,6 miliardi, mentre l’imposta che grava sugli immobili (prima l’Ici popi l’Imu ed ora Iuc) ha fatto salire il carico fiscale del 53%.

Nel 2007 - conclude la Cgia - il gettito era di 12,7 miliardi, nel 2014 sfiorera’ i 19,5 miliardi di euro. Tuttavia, la voce che ha subito la variazione percentuale più forte è stata quella riferita alle successioni e donazioni: +390%. Se nel 2007 l’Erario aveva incassato 106 milioni di euro, nel 2014 il gettito previsto raggiungerà i 520 milioni di euro.

martedì 1 ottobre 2013

Scatta l’aumento dell’Iva “Una mazzata alla ripresa”

Un estratto dalla Stampa che ci mostra a che cosa potrebbe portare il nuovo aumento dell'Iva appena partito.

Dal vino al caffè, dai frigoriferi alle tv, dagli smartphone ai tablet. E ancora: dai prodotti per la casa a quelli per la cura della persona, dall’ingresso in piscina ai pacchetti vacanza. E prodotti di cartoleria, giocattoli, bibite gassate, succhi di frutta, mobili e biancheria, per dirne alcuni. Un elenco lungo così. La vita, per molti aspetti, da questa mattina costa l’1% in più.

Scatta l’aumento dell’Iva. L’aliquota più elevata - applicata ai prodotti non di prima necessità - passa dal 21 al 22%. E son dolori. Per Federdistribuzione comporterà tra i 105 e 110 euro di costi l’anno in più per famiglia, secondo Coop Italia saran quasi 200 euro. Più pessimisti i consumatori del Codacons: 349 euro in più. La benzina verde - informa Quotidiano Energia - dalla mezzanotte di ieri costa 1,5 centesimi in più, il gasolio 1,4. Insomma, un salasso. «Calcoliamo che il 40% dell’Aumento dell’Iva riguardi i prodotti di acquisto abituale», spiega Giovanni Cobolli Gigli, presidente di Federdistribuzione. 

Il gettito atteso sarebbe pari a 4,2 miliardi. «In realtà - avverte Cobolli Gigli - succederà che in primo luogo aumenterà l’evasione e creerà quello che sostanzialmente è una concorrenza sleale tra operatori. Quindi ci sarà comunque un calo dei consumi. E il gettito ne soffrirà». Intanto, a soffrire, sarà il carrello della spesa. «Le famiglie che già stanno facendo delle rinunce saranno costrette a farne altre». Così se tra gennaio e luglio i consumi son già crollati a valore del 2,6% «per fine anno mi aspetto fino al -3%, tra l’Iva e un ritorno di sfiducia dovuto anche all’instabilità politica».

E pensare che le cose iniziavano, seppure lentamente, a migliorare. «Segnali deboli», li chiama Maurizio Motta, direttore generale di Mediamarket, cui fanno capo i marchi Mediaworld e Saturn, il quale aveva notato «da marzo una nuova crescita dei visitatori nei punti vendita e qualche timido segnale negli acquisti e nell’interesse per le novità tecnologiche». Poi «la farsa e la tragedia» dell’Iva: «Una mazzata psicologica, che raffredda ogni tipo di segnale». Così gli ultimi tre mesi, che «per noi potevano essere positivi tra lo 0 e il 2%, con una stabilizzazione», con l’aumento saranno «più vicini allo zero, se non ancora in negativo». In ambito hi-tech, tra i più colpiti dall’aumento, saranno «gli acquisti importanti, come il televisore o il grande elettrodomestico». Non i tablet o gli smartphone «che sono ormai prodotti quasi necessari». Ma i primi effetti non arriveranno oggi, spiega Motta, «ma nel giro di 15-20 giorni, con i primi adeguamenti». Poi nel tempo «le aziende stesse modificheranno i listini: una parte dell’aumento verrà assorbito dalle aziende, parte, purtroppo, sarà sulle spalle dei consumatori. Contando le promozioni, nel tempo, si parla più o meno della metà». 
Ikea per i mobili e Esselunga nella grande distribuzione, diciamo così, più generalista, promettono che non toccheranno i prezzi.


mercoledì 18 settembre 2013

Vendere o affittare: le due strade da seguire per evitare la mannaia sugli alloggi vuoti

Dal Corriere della Sera non arrivano bellissime notizie riguardo i nostri immobili...

Inutile farsi illusioni; le finanze pubbliche vogliono dal mattone 40 miliardi, quanti ne ha ottenuti nel 2012. Se si favorisce la prima casa, e si incentiva l’affitto — come sembra nei piani del governo — finiranno per pagare il conto gli altri immobili. Nel mirino ci saranno sicuramente le seconde case, a maggior ragione se verrà riproposta la norma sulla deducibilità Irpef e Ires dell’Imu, pagata per gli immobili strumentali.
Ricordiamo che questa disposizione era presente nella stesura originaria del decreto legge che ha cancellato l’Imu sulle abitazioni principali. E nell’intenzione dei tecnici del ministero dell’Economia la copertura sarebbe arrivata dalla reintroduzione al 50% della cosiddetta Irpef fondiaria sugli immobili non locati.
Ridurre i danni
Per i proprietari delle case a disposizione che non vogliano affrontare i costi quasi certamente maggiori delle imposte non rimangono che due strade: cercare di vendere o perlomeno di locare l’immobile. Se questo si trova in una località di villeggiatura, una soluzione potrebbe essere quella di affidarlo a una delle società specializzate che ne assumono la gestione e curano la locazione per brevi periodi (in genere a settimana) dell’alloggio, garantendo un rendimento con cui affrontare perlomeno le spese e riservandosi il diritto di utilizzare direttamente l’immobile per qualche settimana. Naturalmente se la casa è in montagna e la si vuole utilizzare a Capodanno o se è al mare, e la si vuole per agosto, il guadagno scende di molto.
Tenere inutilizzato un immobile oggi significa in termini concreti pagare una patrimoniale tra il 4 e il 5 per cento annuo sul suo valore, perché ai costi di manutenzione e all’Imu bisogna aggiungere il mancato introito degli interessi che si otterrebbero investendo il ricavato della vendita. E questo nell’ipotesi ottimistica che i prezzi rimangano invariati. Nelle località turistiche i valori negli ultimi due anni sono scesi in media di oltre il 10%, per il forte aumento di offerta anche nelle località di maggior prestigio e la scarsità della domanda; difficile pensare che il fenomeno non si accentuerà nel breve periodo.
E il discorso non cambia nelle grandi città. A Milano ad esempio aver scelto di non vendere una casa di 80 metri un anno fa significa aver perso complessivamente l’8,7 per cento sul capitale, perché a Imu, spese di gestione e perdita di interessi che ammontano al 4,7%, bisogna aggiungere una svalutazione dell’appartamento su base annua (dati Nomisma) del 4%; il risultato del conto effettuato con la stessa metodologia a Roma darebbe -9%.
Case ai familiari
Se sulle case vuote è chiaro che si andrà di fronte a un ulteriore incremento del carico fiscale, più difficile è prevedere che cosa succederà degli immobili dati in uso ai congiunti. Per la normativa Imu (ed è uno degli aspetti che hanno creato più polemiche), questi immobili sono considerati a tutti gli effetti seconde case.
Se rimarrà questa impostazione purtroppo non ci sono alternative: se si vuole dare un appartamento a un figlio, e non si vogliono pagare le imposte come seconda casa, bisogna intestargli perlomeno l’usufrutto, con un atto di vendita o di donazione. Una soluzione che però presenta molti problemi soprattutto se non si tratta di figlio unico. E con il rischio che ci vogliano poi molti anni per ammortizzare i costi notarili e fiscali legati all’operazione.
L’evoluzione
Sull’evoluzione della normativa poi pende un secondo dubbio: non è affatto chiaro se sparirà l’Imu. Se l'intenzione è quella di far pagare di più chi tiene la casa a disposizione la strada della Service tax non è praticabile, anzi: essendo una tassa, e quindi un corrispettivo di servizi erogati, non si può far pagare di più a chi usufruisce meno dei servizi.
Per mantenere un prelievo patrimoniale su questo tipo di immobili è quindi ipotizzabile che una quota di Imu (magari con un altro nome) finirà per rimanere. La strada alternativa, anche se impropria da un punto di vista formale, perché si applicherebbe un’imposta sui redditi per colpire un patrimonio, è quella del ritorno dell’Irpef, calcolata sul valore catastale dell’immobile.
Nella media delle grandi città l’applicazione dell’Imu ai livelli attuali sommata alla tasse rifiuti porterebbe a un costo medio superiore del 2% per il contribuente; il ritorno dell’Irpef fondiaria al 50%, come prevedeva la stesura originaria del decreto, farebbe scendere di circa il 10% cento il costo per un contribuente medio, ma difficilmente Erario e comuni si accontenterebbero.

mercoledì 10 luglio 2013

Maggiori adempimenti per i crediti esteri

Dal Sole 24 Ore: 

Finalmente definite, nella risoluzione 48/E dell'8 luglio, le modalità di calcolo della quota di imposta estera detraibile ai sensi dell'articolo 165, comma 10, del Tuir, secondo cui "nel caso in cui il reddito prodotto all'estero concorra parzialmente alla formazione del reddito complessivo, anche l'imposta estera va ridotta in misura corrispondente". Tale disposizione, per effetto della norma di interpretazione autentica introdotta dall'articolo 36, comma 30, decreto legge 223/2006, deve ritenersi applicabile anche ai crediti di imposta riferiti ai redditi da lavoro dipendente prestati all'estero ai sensi dell'articolo 51, comma 8-bis del Testo unico.
Si tratta di quei redditi da lavoro dipendente, prodotti da persone fisiche residenti in Italia che hanno lavorato all'estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto di lavoro per più di 183 giorni nell'arco di 12 mesi, calcolati sulla base delle retribuzioni convenzionali annualmente definite con decreto interministeriale.
A seguito di tale chiarimento, il lavoratore dipendente che abbia subito una doppia imposizione potrà portare in detrazione un'imposta estera in proporzione al rapporto tra reddito "convenzionale" e reddito prodotto all'estero. A riguardo, l'Agenzia fornisce importanti precisazioni in merito alla corretta determinazione del reddito prodotto all'estero, chiarendo come i criteri di computo dello stesso debbano necessariamente seguire i criteri tributari italiani, contenuti nell'articolo 51 del Tuir, con esclusione del comma 8-bis.
Tale indirizzo interpretativo deriva sostanzialmente dalla necessità di comparare valori di reddito ("convenzionale" e "complessivo") che siano fra di loro omogenei, prevenendo in tal modo il sorgere di eventuali effettivi distorsivi e discriminatori che scaturirebbero nell'ipotesi in cui il reddito complessivo (alla cui determinazione partecipa anche il reddito estero) sia calcolato secondo le disposizioni dell'ordinamento fiscale dello Stato in cui il reddito è stato prodotto.
Nel motivare il proprio ragionamento, l'agenzia delle Entrate muove dal comma 10 che mette in rapporto il "reddito estero" e il "reddito complessivo" in una relazione di confronto che deve avvenire tra valori omogenei; obiettivo che può essere raggiunto solo qualora i redditi da comparare siano determinati utilizzando la medesima fonte giuridica. Ad avviso dell'Agenzia, anche la definizione di "reddito complessivo" di cui all'articolo 8 del Tuir conforta tale interpretazione; infatti il reddito tassato all'estero non concorre alla formazione del reddito complessivo, il quale è determinato "sommando i redditi di ogni categoria …" valorizzati secondo la normativa domestica.
In aggiunta, anche la definizione di reddito estero attuata con criteri di reciprocità dall'articolo 165, comma 2 del Tuir, (secondo cui "i redditi si considerano prodotti all'estero sulla base di criteri reciproci a quelli previsti dall'articolo 23 per individuare quelli prodotti nel territorio dello Stato"), conferma come "… il concetto di reddito estero prende sempre le mosse dall'ordinamento italiano e gli strumenti utilizzati per la sua determinazione non possono non essere quelli propri del sistema fiscale nazionale".
A riguardo, l'orientamento dell'amministrazione finanziaria presenta alcune problematiche di natura operativa derivanti dalla necessità di riconciliare secondo i principi stabiliti dal Tuir (sia in fase dichiarativa, sia in sede di controllo formale delle dichiarazioni o, eventualmente, di accertamento), la porzione di reddito complessivo originariamente calcolato ai sensi della legislazione dello Stato estero, in genere immediatamente desumibile dalle certificazioni rilasciate delle autorità fiscali estere.
Infatti, tale operazione implica da un lato la rideterminazione di tutte quelle componenti reddituali che erano state inizialmente assoggettate a tassazione piena nello Stato estero e che invece in Italia potrebbero essere in tutto o in parte esentate (si pensi, ad esempio, alle indennità di trasferimento di cui all'articolo 51, comma 7 del Tuir, che non concorrono a formare il reddito nella misura del 50% del loro ammontare per un importo complessivo annuo non superiore a 4.648,11 euro per i trasferimenti all'estero), dall'altro la deduzione di oneri prevista dall'ordinamento giuridico italiano e non uniformemente concessa dagli Stati esteri in cui il reddito potrebbe essere stato prodotto (si pensi ad esempio ai contributi previdenziali obbligatori a carico del dipendente).
È chiaro come, anche nel caso in cui il reddito complessivo estero sia riconciliato ai sensi della normativa italiana, la quota di imposta estera effettivamente detraibile ai sensi dell'articolo 165, comma 10 del Tuir possa subire incrementi o decrementi strettamente connessi alle componenti reddituali e agli oneri deducibili considerati nella rideterminazione, ai fini italiani, del reddito effettivo estero.
In sostanza, il riproporzionamento dell'imposta estera detraibile, attuato mediante il rapporto tra reddito convenzionale e reddito estero rideterminato, potrebbe comunque comportare delle distorsioni, derivando l'imposta estera da un imponibile che contiene componenti potenzialmente non tassabili in Italia; in tale ipotesi si porterebbero in detrazione imposte estere applicate anche su elementi reddituali non imponibili nel nostro Stato.

giovedì 13 giugno 2013

Confcommercio, solo nel 2036 si recupererà il potere d'acquisto perduto

La Repubblica:

MILANO - Nel 'tax freedom day', cioè il giorno in cui si smette di lavorare per coprire il carico fiscale, arriva un nuovo allarme di Confcommercio sulla situazione del Paese. In un rapporto significativamente intitolato "l'Italia arretra", l'associazione dei commercianti denuncia che nel 2013 il numero di giorni di lavoro necessari per pagare tasse, imposte e contributi ha raggiunto il suo massimo storico: 162 giorni (ne occorrevano 139 nel 1990 e 150 nel 2000). Ne occorrono invece 130 nella media europea (-24% rispetto all'Italia). Un inasprimento che aggredisce un monte redditi già declinante contribuendo così sia a comprimere la domanda aggregata, sia a scoraggiare l'offerta di lavoro.
Onere da 10 miliardi per gli adempimenti fiscali. Secondo la ricerca Confcommercio-Cer, però, non è solo l'entità delle tasse a stringere un cappio sullo sviluppo economico. Sono ben 269 le ore di lavoro l'anno che servono a ogni impresa italiana per adempiere agli obblighi richiesti dal Fisco: l'eccesso di burocrazia porta i tempi necessari a espletare le pratiche al doppio della Francia, al 60% in più della Spagna, e al 30% in più della Germania. Le Pmi italiane sostengono così per gli adempimenti fiscali un onere annuo di 10 miliardi, quasi il 50% in più della media dei Paesi Ue.
Potere d'acquisto. A causa della crisi, "ogni famiglia italiana ha registrato, in media, una riduzione del proprio potere d'acquisto di oltre 3.400 euro". La dimensione raggiunta dalla caduta dei redditi è tale che, "se pure si riuscisse a tornare alle dinamiche di crescita pre-crisi, bisognerebbe comunque aspettare fino al 2036 per recuperare il potere d'acquisto perduto". In termini reali, "il reddito è in flessione ininterrotta dal 2008, con una contrazione cumulata dell'8.7% e una perdita complessiva di 86 miliardi di euro". I consumi delle famiglie, "nel 2009
ancora capaci di contrastare gli effetti della Grande recessione mondiale, sperimentano oggi una flessione di dimensione mai registrata nei quasi 70 anni di vita della Repubblica italiana". Il presidente Carlo Sangalli, ricordando come Squinzi che "il nord è sull'orlo del baratro", ha spiegato che i consumi sono al livello del 2000 e gli investimenti pubblici al 2003". In queste condizioni, hanno chiuso i battenti più di 40mila imprese quest'anno".
Priorità: no aumento Iva. La sterilizzazione dell'aumento dell'Iva in programma a luglio costituisce una priorità. Secondo lo studio, le ragioni a favore di uno spostamento della tassazione dalle persone alle cose mostrano "chiari elementi di debolezza. L'aumento dell'Iva determinerebbe pronunciati effetti regressivi". Sostituire una minore Irpef con una maggiore Iva, sempre secondo la ricerca, penalizzerebbe le famiglie comprese nel primo 50% della distribuzione del reddito, con perdite comprese fra 200 e 50 euro per nucleo familiare. Lo stesso presidente Sangalli ha parlato dell'ipotesi di innalzamento dell'Iva al 22% come di "benzina sul fuoco della recessione". Sul punto si è anche assistito a una contestazione del ministro allo Sviluppo economico, Flavio Zanonato, che ha detto di "non poter promettere" il congelamento dell'imposta.
Crescita nel biennio all'1,9%. In questo contesto, secondo lo studio la ripresa resta debole e ben sotto le stime del governo: "L'economia italiana continua ad arretrare. Come mostra l'esercizio di previsione, il Pil diminuirà nel 2013 per il secondo anno consecutivo e per la quarta volta dal 2007. Le prospettive di recupero per il 2014-15 appaiono inoltre più deboli di quelle assunte dal Governo nel Def dello scorso aprile: secondo le nostre stime, nel prossimo biennio la crescita cumulata si arresterà all'1,9%, un punto in meno di quanto prospettato nei valori programmatici (2,8%)".

venerdì 7 giugno 2013

Lo spread BTp-Bund è sceso, ma mutui e prestiti restano troppo cari

Trovato sul Sole 24 Ore:

«È lo spread», si diceva: finché non si riduce lo scarto fra i BTp e i Bund e non torna la fiducia nei confronti dell'Italia le banche faranno sempre fatica a raccogliere il denaro e non potranno così ridurre l'altro «spread», quello praticato su mutui e prestiti di nuova emissione a famiglie e imprese. Il primo dei due differenziali è però sceso, l'altro ancora no. E la conferma arriva dai dati che la Banca d'Italia
consegna ogni mese alla Bce. Le cifre più aggiornate pubblicate ieri da Francoforte riguardano aprile, un mese in cui lo scarto fra i titoli di Stato decennali di Italia e Germania è tornato più o meno stabilmente sotto la soglia dei 300 punti base dopo le incertezze post-elezioni e nel quale è sostanzialmente proseguito il ribasso dei tassi Euribor (quasi azzerati) e Irs che costituiscono la base rispettivamente per i prestiti a tasso variabile e a tasso fisso. I nuovi mutui costano però sempre lo stesso interesse alle famiglie italiane, anzi qualche centesimo in più in media rispetto al mese precedente: 3,95% contro il 3,90 per cento. Stesso discorso per i finanziamenti alle imprese, cresciuti ad aprile di un decimo al 3,6 per cento. Insomma, mentre i mercati allentavano la pressione attorno al nostro Paese, e le banche italiane (almeno le principali) tornavano a rifornirsi senza particolari problemi sui mercati dei capitali, sul versante dei prestiti e dei loro tassi non si riusciva a fare alcun passo in avanti: restano gli stessi "spread" elevati e si conferma soprattutto un divario rispetto alla media europea di 55 punti base per i mutui immobiliari e addirittura di 88 punti quando si parla di finanziamenti alle imprese. Certo, paragonarci alla Germania che è in grado di offrire denaro al 2,9% alle famiglie (l'1% in meno rispetto all'Italia) e addirittura del 2,14% alle aziende (qui lo scarto supera abbondantemente i 100 punti base) può essere fuorviante. Di fronte a noi abbiamo però l'esempio della Spagna, le cui banche continuano a praticare condizioni meno penalizzanti almeno sui mutui (il tasso medio di aprile è del 3,20%) nonostante le difficoltà del mercato immobiliare iberico. Da noi invece, parlando sempre di mutui, lo "spread" praticato dagli istituti finanziari sui nuovi prodotti (al quale va poi aggiunti Irs oppure Euribor) fa ancora fatica a scendere sotto lo "zoccolo duro" del 3%, nonostante i mercati si siano quietati ormai da qualche mese. Certo, le banche ricordano che le condizioni a cui vengono erogati mutui e prestiti non dipendono soltanto dal divario fra i BTp e i Bund, ma anche da molti altri fattori quali l'accresciuta rischiosità della clientela italiana in una fase di recessione prolungata come quella attuale e anche le norme più stringenti rispetto ad altri Paesi europei alle quali sono sottoposte dalle autorità regolamentari. Si tratta di attenuanti che possono essere concesse, ma che non cambiano la sostanza: famiglie e aziende italiane continuano a pagare più delle altre europee l'accesso al credito.

lunedì 20 maggio 2013

Scorpacciata di Btp per le banche

Su Il Giornale si legge:


Nei dodici mesi terminati a marzo le banche italiane hanno puntato decisamente sui titoli di Stato, aumentando la loro esposizione di circa 72 miliardi. L'accelerazione è stata notevole a inizio anno (30 miliardi solo da dicembre). Nei portafogli delle banche, secondo i dati della Banca d'Italia, ci sono così circa 362 miliardi di euro contro i 290 di un anno prima. Un livello importante ma che, secondo l'istituto guidato dal governatore Ignazio Visco, è ancora ben lontano dai massimi degli anni '90. La scelta delle banche ha sostenuto le aste del Tesoro e le quotazioni sul secondario in questi mesi sempre difficili per la crisi del debito sovrano. A far da contraltare, tuttavia, ci sono i prestiti alle imprese non finanziarie che sono scesi - nell'arco di tempo considerato - di circa 29 miliardi di euro, mentre quelli alle famiglie sono diminuiti di 9 miliardi. I due subtotali ammontano rispettivamente a 855 e 606 miliardi per un valore complessivo di 1.461 miliardi (-2,55% su base annua).
«Non c'è domanda per investimenti ma per ristrutturare il debito e magari ripagare le tasse», spiega un banchiere. Le famiglie poi sono alle prese con un calo del reddito e, inoltre, le compravendite di immobili sono crollate. Certo, i tassi rappresentano un'altra barriera: a Roma e Milano un mutuo si paga il 3,9 contro il 2,8 di Berlino e addirittura le nostre aziende pagano quasi il doppio (3,5%) di quelle in Austria. Una differenza che risiede nel fatto che le banche stesse pagano il denaro molto di più delle loro rivali. Dalle banche iniziano comunque ad arrivare segnali di disponibilità a far ricominciare la crescita degli impieghi nel 2013. La pulizia dei bilanci è stata fatta svalutando o azzerando i portafogli sotto spinta della Banca d'Italia. Quest'azione ora verrà estesa a livello europeo sotto l'egida della Bce per rassicurare i mercati che non ci sono perdite occulte nei bilanci degli istituti del Vecchio Continente. Ma, in realtà, solo una ripresa dei Solo una ripresa del pil e della performance delle aziende, può far invertire la tendenza.

mercoledì 24 aprile 2013

Bankitalia: «Fisco troppo pesante, danneggia onesti e crescita». «Pressione da redistribuire»

Per il Corriere della Sera la situazione è chiara: per pareggiare il bilancio ci saranno altre correzioni dal 2015. Non ci devono più essere incertezze su tasse immobili.

«Per mantenere il pareggio di bilancio anche dal 2015 sarà necessario introdurre ulteriori correzioni, sia pure di dimensioni limitate rispetto a quanto fatto in passato». Lo ha detto Daniele Franco, direttore centrale per la Ricerca economica e le Relazioni internazionali della Banca d'Italia, nella sua audizione sul Def davanti alle Commissioni congiunte speciali per l'esame di atti del Governo del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati. «Per quanto riguarda la finanza pubblica, il Def mette in luce gli importanti risultati conseguiti grazie agli interventi correttivi attuati negli scorsi anni - ha spiegato -. In particolare, si prevede che l'indebitamento netto continui a scendere e che già nel 2013 sia conseguito l'obiettivo del pareggio di bilancio in termini strutturali, che costituisce il punto di riferimento della riforma costituzionale del 2012 e delle nuove regole europee.

NO INCERTEZZE SU TASSE IMMOBILI - Ma perchè l'Europa riconosca il raggiungimento dell'obiettivo del pareggio di bilancio (con la chiusura della procedura per disavanzi eccessivi) - ha rilevato Franco - «vanno immediatamente dissipate le incertezze sulla stabilità del gettito legato al vigente sistema di imposizione sugli immobili». Il direttore centrale per la ricerca economica di Bankitalia, non ha comunque fatto alcun riferimento esplicito all'Imu mentre in un altro capitolo del testo si fa riferimento alla riforma del catasto per eliminare iniquità.

PRESSIONE AI MASSIMI - Il direttore Franco ha poi aggiunto che la pressione fiscale al 44% è «molto elevata», sia a livello storico sia nel confronto internazionale - 3 punti sopra paesi Ue - e «l'elevato livello di evasione fiscale rende il carico sui contribuenti onesti ancora più ingente» ed «è ostacolo alla crescita». Secondo l'istituto di Via Nazionale, è necessario «ridefinire la composizione del carico tributario in modo da ridurre le distorsioni nell'offerta dei fattori produttivi». «L'elevato livello di evasione fiscale - secondo palazzo Koch - rende il carico sui contribuenti onesti ancora più ingente, esso determina distorsioni nell'offerta di fattori produttivi e fenomeni di concorrenza sleale ed è d'ostacolo alla crescita della dimensione delle imprese».

CONTI E MISURE PER L'ECONOMIA - «La gravità della situazione - ha detto ancora Franco - richiede un'azione di politica economica ampia e organica, che coniughi l'equilibrio dei conti pubblici e le azioni strutturali volte a innalzare il potenziale di crescita dell'economica con il sostegno in tempi brevi del sistema produttivo e delle fasce deboli della popolazione».

martedì 16 aprile 2013

Draghi: «È grave che le banche non prestino a tassi ragionevoli»

Manca competitività. Questa è la base della crisi d'Europa. Così sostiene Mario Draghi secondo quanto riporta il Corriere della Sera.

«Se le banche in alcuni Paesi non prestano a tassi ragionevoli, le conseguenze per l'Eurozona sono gravi». Lo ha detto Mario Draghi, presidente della Bce, durante un intervento all'Università di Amsterdam. Secondo Draghi «È particolarmente sconcertante» che le piccole e medie imprese soffrano più delle grandi aziende, «dato che fanno i tre quarti dell'occupazione». La Bce «non può e non vuole sovvenzionare banche insolventi», ha aggiunto Draghi spiegando che il sostegno in liquidità accordato alle controparti bancarie «non è e non dovrebbe essere un sostegno di capitale». Allo stesso modo, ha detto, nel contrastare i rischi di ridenominazione sui titoli di Stato «non possiamo e non vogliamo sovvenzionare i Governi» dell'Eurozona. Del resto, ha continuato il presidente della Bce, «avviare le riforme strutturali, il risanamento dei conti pubblici e rimettere in ordine i bilanci delle banche non è fra le responsabilità nè nel mandato della politica monetaria».

«ANCORA GROSSI PROBLEMI» - Anche se ci sono miglioramenti rispetto al picco della crisi in Europa «nondimeno, all'orizzonte congiunturale dell'Eurozona si stagliano ancora gros

LA PECULIARITA' DELL'EUROZONA - Il numero uno dell'Eurotower ha spiegato anche che, «a differenza di Paesi con una vera e propria struttura federale o con un'unica autorità di bilancio, l'eurozona è composta da diversi Paesi sovrani». E quindi «il debito di ognuno di questi ha caratteristiche diverse per quanto riguarda la liquidità e il profilo di rischio». Pertanto, conclude Draghi, «non c'è una misura univoca per definire il premio di rischio nell'area euro».

PERDITA DI COMPETITIVITA' - Alla radice della crisi europea c'è, ha dichiarato anche Draghi, il fatto che «gran parte dei Paesi sotto stress soffrono di una perdita di competitività cronica».
si problemi». La maggior parte delle economie dell'Eurozona che si trovano ora sotto stress, ha ricordato Draghi, «e sicuramente tutte quelle che ora stanno avendo le maggiori difficoltà all'aggiustamento, hanno registrato una cronica perdita di competitività dopo essere entrati a far parte dell'unione monetaria». L'erosione della competitività «ha comportato l'emergere di ampi deficit delle partite correnti e, per alcune, l'accumulo di consistenti posisizioni debitorie con l'estero». In alcuni casi, ha continuato Draghi, «l'aumento del debito estero è stato trainato dal maggior indebitamento del settore pubblico».

giovedì 21 marzo 2013

Stangata Equitalia, interessi di mora aumentano del 15%

Altre brutte notize per i nostri portafogli provengono dal Giornale.

Brutte notizie per le famiglie italiane indebitate fino al collo: dal primo maggio il tasso degli interessi di mora applicato da Equitalia aumenterà del 15%, passando dal 4,55% al 5,22%. Lo riferiscono Federconsumatori e Adusbef spiegando che “la società, già tristemente nota per le cartelle pazze, ancora una volta, vuole fare cassa (per conto dell’Agenzia delle Entrate) con metodi prepotenti ed arroganti”.


Non bastava l’aumento dei prezzi e delle tariffe, non bastava la caduta verticale del potere di acquisto (-14,1% dal 2008) e non bastava neanche l’incredibile livello raggiunto dalla pressione fiscale nel nostro Paese (con aumenti solo nel 2013 di +421 Euro). “Ora – affermano le due associazioni dei consumatori - anche Equitalia dà un ulteriore contributo per accrescere la preoccupazione e lo stato di vera e propria esasperazione in cui si trovano le famiglie”. “Una vera e propria assurdità! – affermano Rosario Trefiletti ed Elio Lannutti, presidenti di Federconsumatori e Adusbef – che cade proprio in un momento drammatico per le famiglie italiane che, in molti casi, si trovano in estrema difficoltà anche nel far fronte alle spese più elementari". Per le associazioni piuttosto che pensare ad aumentare i tassi di mora, Equitalia dovrebbe dare la priorità ad una decisa riorganizzazione della struttura, migliorando i pessimi rapporti con il pubblico.
Intanto Codici ha deciso di avviare una petizione popolare nazionale contro Equitalia che sarà presentata al Parlamento e al Governo. “Con il sistema di interessi applicato – ha spiegato Codici - sia in termini di aggio che in termini di anatocismo esercitato, risulta impossibile per il cittadino sanare la propria posizione debitoria. Quest’ultimo, così, si vede pignorare la casa dove vive, o fermare la macchina con cui lavora, facendo venir meno la possibilità di creare un reddito. Tali fenomeni sono contrari ai principi costituzionali che garantiscono il diritto alla casa e al lavoro ( Artt. 1,2,3 e 47 Costituzione Italiana)”.

Sette i punti elencati nella petizione dell’associazione:
  1. Rivedere il sistema di sanzioni fissando un tetto massimo non superiore al 20 % della somma dovuta;
  2. Rivedere il sistema d’ interessi applicati fissando un tetto massimo non superabile pari alla misura del’interesse legale;
  3. Prevedere che per il calcolo degli interessi ( comunque denominati) venga utilizzato il sistema “all'italiana" con un piano di ammortamento semplice, ovvero senza alcuna capitalizzazione e con rate costanti pari al 50% di quota capitale e 50% di quota interessi;
  4. Ridurre tutti i costi e gli oneri aggiuntivi a quelli effettivamente sostenuti;
  5. Dichiarare impignorabile per crediti fiscali e/o tributari gli immobili destinati ad abitazione principale;
  6. Limitare le iscrizioni ipotecarie per crediti non inferiori ad almeno il 40% del valore dell’immobile stesso;
  7. Limitare i fermi amministrativi sui mezzi lavoratori e di trasporto dei debitori per crediti non inferiori ad almeno il 40% del valore del mezzo .

“E’ il momento - ha affermato Ivano Giacomelli, Segretario Nazionale del Codici - di fermare un sistema esageratamente vessatorio nei confronti dei cittadini italiani.”


venerdì 15 febbraio 2013

L'Europa vuole tassarci anche i Btp

 Stamattina su Libero:

L’Unione europea ignora Mario Monti e stanga i bpt. A sorpresa, ieri, la Commissione Ue ha messo sul tavolo una stretta fiscale, in parte già nota e condivisa fra i governi del Vecchio continente. Stiamo parlando della Tobin tax: la tassa sulle transazioni finanziarie che, nella versione finale proposta  da Bruxelles,  colpisce tutti i tipi di titoli e operazioni. Dunque anche le obbligazioni di Stato, compresi i bot e btp. Una soluzione in netta controtendenza rispetto alla posizione del Governo italiano guidato da  Mario Monti, che aveva sempre escluso i bond del Tesoro dal raggio d’azione delle nuove misure tributarie  Ue. L’Italia è uno degli 11 Stati che ha aderito al piano e ora, in pratica, si trova a fare i conti con una beffa clamorosa. L’idea di fondo alla base della Tobin tax era di colpire con la mannaia fiscale la speculazione,  dunque operazioni come i derivati finanziari. Un modo come un altro per spingere il denaro sulla cosiddetta economia reale, tenendolo alla larga da listini, mercati grigi e manovre spericolate. La filosofia era: favorire gli investimenti dei privati come stimolo per la crescita economica. Il cambio di passo di Bruxelles  spiazza Roma e corre il rischio di ridicolizzare lo stesso premier italiano. Il quale ha sempre rivendicato con orgoglio (come il 23 dicembre scorso) che il suo punto di vista - a differenza dell’Esecutivo di Silvio Berlusconi - è sempre stato tenuto in altissima considerazione in sede europea. La mossa di ieri smentisce questa tesi.  

lunedì 7 gennaio 2013

Come salvare i nostri conti correnti dalle tassazioni di Monti

Ho trovato su liberoquotidiano.it una notizia molto interessante. Qui di seguito quanto citato.
Polizze, conti correnti, buoni fruttiferi, fondi di investimento, libretti postali. In attesa che nuove e più pesanti patrimoniali spuntino all’orizzonte, il 31 dicembre, con la chiusura delle rendicontazioni, la maggior parte degli italiani ha dovuto fare i conti con quella già varata dal governo Monti. E nel 2013, con l’incremento automatico di alcune aliquote sarà ancora peggio. L’intenzione dichiarata era quella di ridisegnare, ovviamente in maniera più equa, il sistema dell’imposta di bollo che gravava su alcune forme di risparmio. Il risultato è stato quello di tassare tutto il tassabile, con meccanismi di calcolo che rischiano in molti casi di rendere il conto più salato proprio per chi ha meno. Sfuggire, in maniera legale, ai nuovi balzelli sul risparmio introdotti dai professori è praticamente impossibile. Con un po’ di accorgimenti si può, però, almeno evitare di pagare più del dovuto.

Conti correnti - La norma apparentemente più semplice è quella che riguarda i conti correnti. Il Salva Italia ha introdotto un imposta di bollo fissa a 34,20 euro l’anno per tutti i rapporti finanziari, compresi i conti postali, e i libretti di risparmio sia bancari sia postali. Per i soggetti diversi dalle persone fisiche la misura del tributo viene, invece, incrementata, fino a 100 euro. Il balzello viene pagato con scadenze che rispecchiano quelle dell’estratto conto, quindi trimestrali, semestrali o annuali. E qui iniziano le prime grane. La norma, infatti, prevede due esenzioni. Una per i redditi più bassi, ovvero per chi ha una certificazione Isee sotto i 7.500 euro (rientrano in questa categoria i cosiddetti conti correnti di base). L’altra per le giacenze inferiori a 5mila euro.


Giacenze e soglie - Il problema è che il calcolo della giacenza, non è annuale, ma è effettuato sulla base della periodicità dei rendiconti. Può quindi accadere che io abbia 10 euro sul conto per tre trimestri e poi 6mila solo nell’ultimo e che io debba quindi pagare la quota di 8,55 euro (34,20 diviso 4) relativa ai tre mesi, malgrado una giacenza media inferiore ai 5mila. Per lo stesso motivo è inutile togliere i soldi prima della rendicontazione, si pagherebbe, comunque proquota per tutti i periodi in cui la soglia è stata superata. Occhio, infine, ai giochini nello spacchettare le somme. La somma per l’esenzione si calcola su tutti i rapporti intestati alla stessa persona nella stessa banca. Per evitare il salasso bisognerà, dunque, o cambiare banca oppure distribuire la cifra su un conto magari cointestato.

Conti all’estero - Inutile cercare di fuggire all’estero. Il bollo va pagato anche sui rapporti finanziari aperti con banche non italiane, che devono comunicare, tranne ovviamente nei casi di istituti con sede in paradisi fiscali, allo stato di residenza del contraente, attraverso la Uif, unità di informazione finanziaria, tutti i dati relativi al conto corrente. In più, se la movimentazione di denaro supera i 10mila euro, dovrete anche la cifra nel quadro RW della dichiarazione dei redditi. Tenendo conto che la soglia si calcola sulla movimentazione e scatterebbe, dunque, anche con un versamento di 6mila euro e un prelievo di 5mila.

martedì 16 ottobre 2012

Salasso fiscale in portogallo: monta la protesta

Parlamento blindato ieri sera a Lisbona, dove la polizia è entrata in azione in forze di fronte alla protesta popolare innescata dal nuovo salasso fiscale previsto dalla finanziaria 'lacrime e sangue' presentata ieri per il 2013 dal governo portoghese.

Giustificata con la necessità di mantenere gli impegni con l'Ue di fronte alla pesantissima crisi che investe il Paese, la manovra è stata difesa a spada tratta dal primo ministro, Pedro Passos Coelho, che si è detto deciso ad andare avanti sulla strada dell'austerità anche a costo di far pagare un prezzo al suo partito (sconfitto giusto l'altro ieri nelle elezioni regionali delle Isole Azzorre dall'opposizione socialista).

La finanziaria 2013 rischia tuttavia di scatenare una nuova ondata di proteste di piazza fin nel cuore della capitale. Si tratta d'altronde della manovra più restrittiva della storia democratica del Portogallo, fondata all'80% sull'imposizione fiscale.

Tre dei cinque miliardi di euro previsti dovranno essere infatti incamerati attraverso aumenti di imposte dirette sui contribuenti, a quanto stima il quotidiano Negocios. Il provvedimento include inoltre un taglio sulle pensioni, una tassa sulle transazioni finanziarie, una falcidie su esenzioni e sussidi e un aumento delle imposte sulla casa: per centrare gli obiettivi di stabilizzazione del rapporto deficit/Pil imposti dalla troika pur in presenza d'una profonda recessione.

Il premier conservatore Pedro Passos Coelho, che nelle scorse settimane, sull'onda di una prima mobilitazione delle piazze, era stato costretto a ritirare una ricetta a colpi di riduzione degli stipendi, ha affermato che questa volta non ci potranno essere passi indietro sul fronte di tagli e risparmi. Mentre il ministro delle Finanze, Vito Gaspar ha avvertito il parlamento che il testo presentato ieri non può essere modificata nei punti fondamentali, pena la perdita da parte del Portogallo di tutta la credibilità finora recuperata.

"Il nostro margine di manovra è inesistente", ha rimarcato Gaspar, citato dall'agenzia Lusa, facendo riferimento agli impegni assunti di recente con la troika in cambio della 'ciambella di salvataggio' da 78 miliardi ottenuta dal Portogallo. Spiegazioni che in ogni modo non sembrano poter spegnere l'ira dei manifestanti. E che del resto anche alcuni economisti respingono, giudicando "suicida" per il Paese una strategia che porta il carico fiscale complessivo - imposte indirette e contributi previdenziali inclusi - a un nuovo record: oltre la soglia del 36% del Pil. (ANSA

venerdì 15 ottobre 2010

Scandalo Inps: i precari saranno senza pensione pur pagando i contributi

La notizia, rimbalzata da diversi blog, è arrivata e conferma la peggiore delle ipotesi. Rimarrà sotto traccia per ovvi motivi, anche se in Rete possiamo farla circolare. Se siete precari sappiate che non riceverete la pensione. I contributi che state versando servono soltanto a pagare chi la pensione ce l'ha garantita. Perché l'Inps debba nascondere questa verità è evidente: per evitare la rivolta. Ad affermarlo non sono degli analisti rivoluzionari e di sinistra ma lo stesso presidente dell'istituto di previdenza, Antonio Mastropasqua che, come scrive Agoravox, ha finalmente risposto a chi gli chiedeva perché l'INPS non fornisce ai precari la simulazione della loro pensione futura come fa con gli altri lavoratori: "Se dovessimo dare la simulazione della pensione ai parasubordinati rischieremmo un sommovimento sociale".

Intrage scrive che l'annuncio è stato dato nel corso di un convegno: la notizia principale sarebbe dovuta essere quella che l'Inps invierà, la prossima settimana, circa 4 milioni di lettere ai parasubordinati, dopo quelle spedite a luglio ai lavoratori dipendenti, per spiegare come consultare on line la posizione previdenziale personale. Per verificare, cioè, i contributi che risultano versati.
La seconda notizia è che non sarà possibile, per il lavoratore parasubordinato, simulare sullo stesso sito quella che dovrebbe essere la sua pensione, come invece possono già fare i lavoratori dipendenti. Il motivo di questa differenza pare sia stato spiegato da Mastrapasqua proprio con quella battuta. Per dire, in altre parole, che se i vari collaboratori, consulenti, lavoratori a progetto, co.co.co., iscritti alla gestione separata Inps, cioè i parasubordinati, venissero a conoscenza della verità, potrebbero arrabbiarsi sul serio. E la verità è che col sistema contributivo, i trattamenti maturati da collaboratori e consulenti spesso non arrivano alla pensione minima.

I precari, i lavoratori parasubordinati come si chiamano per l'INPS gli "imprenditori di loro stessi" creati dalle politiche neoliberiste, non avranno la pensione. Pagano contributi inutilmente o meglio: li pagano perché l'INPS possa pagare la pensione a chi la maturerà. Per i parasubordinati la pensione non arriverà alla minima, nemmeno se il parasubordinato riuscirà, nella sua carriera lavorativa, a non perdere neppure un anno di contribuzione.

L'unico sistema che l'INPS ha trovato per affrontare l'amara verità, è stato quello di nascondere ai lavoratori che nel loro futuro la pensione non ci sarà, sperando che se ne accorgano il più tardi possibile e che facciano meno casino possibile.

Quindi paghiamo i nostri contributi che non rivedremo sotto forma di pensione. Se reagiamo adesso, forse, abbiamo ancora la speranza di una pensione minima.

(da contintasca.blogosfere.it)

mercoledì 22 settembre 2010

Banca Etica: l'Italia appoggi la tassa sulle transazioni finanziarie

"Il presidente di Banca Popolare Etica, Ugo Biggeri, chiede al Governo Italiano di sostenere la proposta rilanciata in questi giorni dal presidente francese, Nicolas Sarkozy, e dal premier spagnolo, Luis Zapatero, di introdurre una tassa sulle transazioni finanziarie con il cui gettito dare ossigeno alle politiche sociali, ambientali e di cooperazione allo sviluppo.
"La cifra messa in campo da tutti i governi per salvare la finanza in un solo anno, da settembre 2008 a settembre 2009, afferma Biggeri in una nota, e' pari a 13.600 miliardi di dollari (stima Fmi) ed e' da 20 a 30 volte superiore di quello che gli stati Onu si erano impegnati a spendere per gli otto obiettivi del millennio a favore dei paesi piu' poveri. Una micro tassa sulle transazioni finanziarie, pari per esempio allo 0,05% del valore di ogni transazione, potrebbe generare su scala mondiale un gettito di 655 miliardi di dollari l'anno: una cifra importante per rilanciare le politiche sociali degli stati duramente colpiti dalla crisi economica e per rivitalizzare le politiche di cooperazione allo sviluppo e il raggiungimento degli obiettivi del millennio, di cui si e' discusso al summit ONU che si e' appena chiuso a New York.
(Il Sole 24 Ore Radiocor)

venerdì 25 giugno 2010

No dei banchieri alla proposta di nuova tassa

E' un coro di no da parte dei banchieri italiani alla proposta, che si sta facendo strada in Europa, di una tassa sulle banche come contributo ai costi sostenuti dai Governi per la crisi. "E' una scemenza", taglia corto Pierfrancesco Saviotti, consigliere delegato del Banco Popolare, al suo ingresso al Comitato esecutivo Abi a Milano. "La penso come lui - gli fa eco Luigi Abete (Bnl-Bnp Paribas) - non uso gli stessi termini, ma il concetto e' quello. E' un provvedimento che non ha senso rispetto alle problematiche del mercato. Cio' detto, se venisse decisa, rispetteremo le regole, anche se non condivise, ci mancherebbe altro".
(Radiocor)

giovedì 20 maggio 2010

Crisi economica? Zapatero tassa i redditi più elevati

Il premier socialista spagnolo Zapatero prepara una nuova tassa sui redditi più alti. Il premier spagnolo potrebbe decidere di varare la nuova misura nel giro di due settimane ed entrerebbe in vigore entro la fine dell’anno. Lo afferma la radio Cadenaser, vicina al partito socialista. Secondo l’emittente, la nuova tassa interesserà tutti i contribuenti che, fra proprietà, azioni, redditi e depositi, dichiarano redditi annuali superiori al milione di euro.

Per l’edizione online di El Pais, l’introduzione della nuova imposta sarebbe un gesto di apertura di Zapatero verso le sinistre e i sindacati, dopo che la settimana scorsa il premier – sotto pressione dei partner Ue e dei mercati – ha annunciato un ulteriore giro di vite per accelerare la riduzione del deficit pubblico nel biennio 2010-2011. Le nuove misure, che il consiglio dei ministri deve approvare formalmente questa sera, prevedono fra l’altro una riduzione media del 5% degli stipendi dei funzionari e il congelamento delle pensioni. Saranno introdotti tagli alla spesa sociale e agli investimenti pubblici, che complessivamente devono permettere alla Spagna di risparmiare altri 15 miliardi di euro.

All’inizio dell’anno Zapatero aveva già annunciato tagli alla spesa pubblica per 50 miliardi in tre anni e l’aumento dell’Iva a luglio. L’obiettivo del governo di Madrid è riportare il deficit pubblico, che è arrivato all’11,2% a fine 2009, sotto il 3% imposto da Bruxelles entro il 2013.
(blitzquotidiano.it)

lunedì 1 giugno 2009

Quando i consumi calano

"Quando cominciano a calare anche le vendite dei prodotti alimentari, significa che siamo arrivati alla frutta. La diminuzione del potere d'acquisto, come testimoniato anche dall'Ocse, deriva anche dalle forti speculazioni in atto sui carburanti, che si ripercuotono sui prezzi dei prodotti alimentari, di cui la maggior parte vengono trasportati su gomma. Inoltre sul prezzo finale gravano anche tasse tra le più alte d'Europa. Un intervento che potrebbe rilanciare i consumi sarebbe il taglio di 10 centesimi sia delle tasse che del prezzo del prodotto industriale ad opera dei petrolieri, per complessivi 20 centesimi. In questo modo il risparmio alla fine dell'anno per il singolo automobilista sarebbe di 180 euro l'anno solo per i carburanti. Considerando l'incidenza del taglio sugli alimentari, potrebbe esserci un'ulteriore riduzione del 18 % sul prezzo di questi ultimi, per un risparmio a fine 2009 di altri 200 euro circa. Aspettiamo ancora che il Governo mantenga la promessa di una riduzione delle accise e del blocco dell'Iva sui carburanti, un intervento sicuramente più utile delle finte convocazioni dei petrolieri per risolvere il problema."
(Carlo Pileri, Presidente dell'Adoc – fonte: www.helpconsumatori.it)