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venerdì 14 marzo 2014

Draghi: pronti ad agire contro il super euro. La moneta unica cala a 1,38

Leggevo l''articolo seguente sul Sole 24 Ore e ho pensato potessere essere interessante condividerlo.

La forza dell'euro sta diventando «sempre più rilevante» sulle decisioni della Bce e il presidente Mario Draghi ha riaffermato che l'istituzione «sarà pronta ad agire con misure decisive, se necessario». Una presa di posizione che conferma il crescente disagio dell'istituzione per l'accelerazione dei rialzi dell'euro, seguito all'assenza di misure espansive, la scorsa settimana, proprio dall'Eurotower. Disagio che negli ultimi giorni è stato manifestato da vari esponenti del Consiglio direttivo.

Ultimo, oggi, perfino l'arcifalco Jens Weidmann, governatore della Bundesbank, che facendo eco ad alcuni suoi colleghi aveva affermato che ulteriori apprezzamenti dell'euro potrebbero spingere la Bce ad ammorbidire la sua linea. Il tutto mentre la valuta condivisa è risalita sopra la soglia di 1,39 dollari, come venerdì scorso, sui massimi dall'ottobre 2011 e con un picco di seduta a 1,3965. La forza dell'euro rischia di frenare la ripresa economica, rendendo meno competitivo l'export verso i paesi extra Unione, e di deprimere ulteriormente una inflazione ritenuta già troppo bassa dalla Bce.

Nel suo intervento alla cerimonia di conferimento del premio in ricordo dell'economista Joseph Schumpeter, a Vienna, Draghi ha ricordato che l'istituzione si è impegnata a tenere i tassi di interesse ai livelli attuali, o più bassi a lungo. E ha affermato che se l'economia procederà come previsto su una progressiva ripresa, mentre l'inflazione risalirà lentamente dallo 0,8% attuale a livelli più vicini al 2%, da questa linea morbida risulterà un «abbassamento dei tassi di interesse reali». Si tratta del livello dei tassi di riferimento ufficiali al netto dell'inflazione. Inoltre «il differenziale reale dei tassi tra l'area euro e il resto de mondo probabilmente si ridurrà, creando pressioni ribassiste sui cambi» dell'euro, ha aggiunto il capo della Bce.

Draghi ha poi rilevato che comunque al momento i rischi di deflazione sono «piuttosto limitati» (usando una terminologia forse più morbida anche in questo caso rispetto alle ultime settimane). E che più a lungo durerà la bassa inflazione maggiori saranno i rischi. Ha infine precisato cosa potrebbe innescare un intervento della Bce: se si dovessero evidenziare attese generalizzate del pubblico su futuri cali dei prezzi.

Dopo la chiusura di Wall Street l'euro viene scambiato a 1,3869 dollari, in calo proprio grazie alle parole di Draghi.


martedì 15 ottobre 2013

Bond: Blackrock, torneremo a investire su Italia se spread si allarga


Se lo spread si allargherà, ci spiega il Corriere della Sera, si tornerà ad investire sull'Italia.

Blackrock sul mercato obbligazionario e' "neutrale su Italia e Spagna", mentre preferisce Irlanda, Portogallo e Slovenia e complessivamente e' "positivo sulla periferia dell'Eurozona". Cosi' ha spiegato, nel corso di una conferenza stampa a Milano, Andrea Vigano', country head Blackrock Italia. "La visione di fondo di Blackrock sull' Italia e' sempre stata molto positiva, ora e' meno attraente visto il restringimento dello spread, anche se la visione di fondo resta comunque positiva. Le valutazione sono piu' o meno corrette. Se lo spread si allargherà torneremo a investire", ha precisato Vigano' spiegando che l'Italia e' un "paese patrimonialmente piu' solido" a livello complessivo di debito, risparmio famiglie, banche. "Il problema e' la velocita' di crescita molto bassa, che richiede ulteriori riforme per essere accelerata".

lunedì 7 ottobre 2013

Dagli Usa si vede un Toro in Europa

Su Morningstar qualche bagliore di speranza: la crisi europea piano piano si sta risanando.


Gli americani credono alla fine della crisi in Europa. E si fanno venire l’appetito per gli asset del Vecchio continente. Secondo uno studio di Goldman Sachs, gli investitori Usa fra gennaio e maggio di quest’anno hanno comprato azioni europee per 65 miliardi di dollari. Si tratta del valore più alto da prima dello scoppio delle crisi finanziarie. La scelta degli operatori yankee si basa principalmente su due considerazioni: il miglioramento dello scenario macro e le valutazioni dell’equity.

“Il recupero dell’Europa sta cominciando ad autoalimentarsi ed ha sempre meno bisogno dei piani di aiuto delle istituzioni internazionali”, spiega Robert Johnson, responsabile della ricerca economica di Morningstar. “I consumatori e le aziende iniziano a sentirsi più sicuri. In questo senso aiutano sia l’allentamento di alcune misure di austerità che la ripresa delle esportazioni verso alcune zone emergenti”.

Situazione fragile
Questo, tuttavia, non significa che lo scenario sia tranquillo. “La situazione in Europa resta fragile per diverse ragioni”, spiega uno studio di Invesco. “La crescita del quarto trimestre potrebbe essere messa in discussione dai numeri sulla produzione industriale di luglio (-1,7%) che hanno annullato il +1,5% messo a segno a giugno. Alcuni paesi periferici, inoltre hanno bisogno di altri aiuti per venire a capo del debito. E’ vero che la recessione è finita, ma alcuni stati devono ancora fare i conti con un rapporto fra debito e Pil superiore al 100% che agisce da zavorra nei confronti della crescita economica”.

Le valutazioni
“Su base globale, in particolare contro gli Stati Uniti, le valutazioni sono interessanti e siamo ancora una volta in grado di trovare un numero crescente di opportunità di investimento”, spiega una nota firmata da Mark Burgess, Chief investment officer di Threadneedle Investments. “Con la crescita globale che sta diventando più robusta di quanto non lo sia stata da qualche tempo, la prospettiva per molti dei campioni mondiali quotati sul mercato europeo è migliorata e siamo diventati più ottimisti verso questa asset class muovendoci verso la posizione neutrale. Per cambiare le nostre previsioni da neutrale a sovrappeso, però, avremmo bisogno di vedere una maggiore ripresa per l'economia europea sottostante”.




Gli americani credono alla fine della crisi in Europa. E si fanno venire l’appetito per gli asset del Vecchio continente. Secondo uno studio di Goldman Sachs, gli investitori Usa fra gennaio e maggio di quest’anno hanno comprato azioni europee per 65 miliardi di dollari. Si tratta del valore più alto da prima dello scoppio delle crisi finanziarie. La scelta degli operatori yankee si basa principalmente su due considerazioni: il miglioramento dello scenario macro e le valutazioni dell’equity.
“Il recupero dell’Europa sta cominciando ad autoalimentarsi ed ha sempre meno bisogno dei piani di aiuto delle istituzioni internazionali”, spiega Robert Johnson, responsabile della ricerca economica di Morningstar. “I consumatori e le aziende iniziano a sentirsi più sicuri. In questo senso aiutano sia l’allentamento di alcune misure di austerità che la ripresa delle esportazioni verso alcune zone emergenti”.
Situazione fragileQuesto, tuttavia, non significa che lo scenario sia tranquillo. “La situazione in Europa resta fragile per diverse ragioni”, spiega uno studio di Invesco. “La crescita del quarto trimestre potrebbe essere messa in discussione dai numeri sulla produzione industriale di luglio (-1,7%) che hanno annullato il +1,5% messo a segno a giugno. Alcuni paesi periferici, inoltre hanno bisogno di altri aiuti per venire a capo del debito. E’ vero che la recessione è finita, ma alcuni stati devono ancora fare i conti con un rapporto fra debito e Pil superiore al 100% che agisce da zavorra nei confronti della crescita economica”.
Le valutazioni“Su base globale, in particolare contro gli Stati Uniti, le valutazioni sono interessanti e siamo ancora una volta in grado di trovare un numero crescente di opportunità di investimento”, spiega una nota firmata da Mark Burgess, Chief investment officer di Threadneedle Investments. “Con la crescita globale che sta diventando più robusta di quanto non lo sia stata da qualche tempo, la prospettiva per molti dei campioni mondiali quotati sul mercato europeo è migliorata e siamo diventati più ottimisti verso questa asset class muovendoci verso la posizione neutrale. Per cambiare le nostre previsioni da neutrale a sovrappeso, però, avremmo bisogno di vedere una maggiore ripresa per l'economia europea sottostante”.
- See more at: http://www.morningstar.it/it/news/112450/dagli-usa-si-vede-un-toro-in-europa.aspx#sthash.2MFIFThn.dpuf
Gli americani credono alla fine della crisi in Europa. E si fanno venire l’appetito per gli asset del Vecchio continente. Secondo uno studio di Goldman Sachs, gli investitori Usa fra gennaio e maggio di quest’anno hanno comprato azioni europee per 65 miliardi di dollari. Si tratta del valore più alto da prima dello scoppio delle crisi finanziarie. La scelta degli operatori yankee si basa principalmente su due considerazioni: il miglioramento dello scenario macro e le valutazioni dell’equity.
“Il recupero dell’Europa sta cominciando ad autoalimentarsi ed ha sempre meno bisogno dei piani di aiuto delle istituzioni internazionali”, spiega Robert Johnson, responsabile della ricerca economica di Morningstar. “I consumatori e le aziende iniziano a sentirsi più sicuri. In questo senso aiutano sia l’allentamento di alcune misure di austerità che la ripresa delle esportazioni verso alcune zone emergenti”.
Situazione fragileQuesto, tuttavia, non significa che lo scenario sia tranquillo. “La situazione in Europa resta fragile per diverse ragioni”, spiega uno studio di Invesco. “La crescita del quarto trimestre potrebbe essere messa in discussione dai numeri sulla produzione industriale di luglio (-1,7%) che hanno annullato il +1,5% messo a segno a giugno. Alcuni paesi periferici, inoltre hanno bisogno di altri aiuti per venire a capo del debito. E’ vero che la recessione è finita, ma alcuni stati devono ancora fare i conti con un rapporto fra debito e Pil superiore al 100% che agisce da zavorra nei confronti della crescita economica”.
Le valutazioni“Su base globale, in particolare contro gli Stati Uniti, le valutazioni sono interessanti e siamo ancora una volta in grado di trovare un numero crescente di opportunità di investimento”, spiega una nota firmata da Mark Burgess, Chief investment officer di Threadneedle Investments. “Con la crescita globale che sta diventando più robusta di quanto non lo sia stata da qualche tempo, la prospettiva per molti dei campioni mondiali quotati sul mercato europeo è migliorata e siamo diventati più ottimisti verso questa asset class muovendoci verso la posizione neutrale. Per cambiare le nostre previsioni da neutrale a sovrappeso, però, avremmo bisogno di vedere una maggiore ripresa per l'economia europea sottostante”.
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“Il recupero dell’Europa sta cominciando ad autoalimentarsi ed ha sempre meno bisogno dei piani di aiuto delle istituzioni internazionali”, spiega Robert Johnson, responsabile della ricerca economica di Morningstar. “I consumatori e le aziende iniziano a sentirsi più sicuri. In questo senso aiutano sia l’allentamento di alcune misure di austerità che la ripresa delle esportazioni verso alcune zone emergenti”.
Situazione fragileQuesto, tuttavia, non significa che lo scenario sia tranquillo. “La situazione in Europa resta fragile per diverse ragioni”, spiega uno studio di Invesco. “La crescita del quarto trimestre potrebbe essere messa in discussione dai numeri sulla produzione industriale di luglio (-1,7%) che hanno annullato il +1,5% messo a segno a giugno. Alcuni paesi periferici, inoltre hanno bisogno di altri aiuti per venire a capo del debito. E’ vero che la recessione è finita, ma alcuni stati devono ancora fare i conti con un rapporto fra debito e Pil superiore al 100% che agisce da zavorra nei confronti della crescita economica”.
Le valutazioni“Su base globale, in particolare contro gli Stati Uniti, le valutazioni sono interessanti e siamo ancora una volta in grado di trovare un numero crescente di opportunità di investimento”, spiega una nota firmata da Mark Burgess, Chief investment officer di Threadneedle Investments. “Con la crescita globale che sta diventando più robusta di quanto non lo sia stata da qualche tempo, la prospettiva per molti dei campioni mondiali quotati sul mercato europeo è migliorata e siamo diventati più ottimisti verso questa asset class muovendoci verso la posizione neutrale. Per cambiare le nostre previsioni da neutrale a sovrappeso, però, avremmo bisogno di vedere una maggiore ripresa per l'economia europea sottostante”.
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“Il recupero dell’Europa sta cominciando ad autoalimentarsi ed ha sempre meno bisogno dei piani di aiuto delle istituzioni internazionali”, spiega Robert Johnson, responsabile della ricerca economica di Morningstar. “I consumatori e le aziende iniziano a sentirsi più sicuri. In questo senso aiutano sia l’allentamento di alcune misure di austerità che la ripresa delle esportazioni verso alcune zone emergenti”.
Situazione fragileQuesto, tuttavia, non significa che lo scenario sia tranquillo. “La situazione in Europa resta fragile per diverse ragioni”, spiega uno studio di Invesco. “La crescita del quarto trimestre potrebbe essere messa in discussione dai numeri sulla produzione industriale di luglio (-1,7%) che hanno annullato il +1,5% messo a segno a giugno. Alcuni paesi periferici, inoltre hanno bisogno di altri aiuti per venire a capo del debito. E’ vero che la recessione è finita, ma alcuni stati devono ancora fare i conti con un rapporto fra debito e Pil superiore al 100% che agisce da zavorra nei confronti della crescita economica”.
Le valutazioni“Su base globale, in particolare contro gli Stati Uniti, le valutazioni sono interessanti e siamo ancora una volta in grado di trovare un numero crescente di opportunità di investimento”, spiega una nota firmata da Mark Burgess, Chief investment officer di Threadneedle Investments. “Con la crescita globale che sta diventando più robusta di quanto non lo sia stata da qualche tempo, la prospettiva per molti dei campioni mondiali quotati sul mercato europeo è migliorata e siamo diventati più ottimisti verso questa asset class muovendoci verso la posizione neutrale. Per cambiare le nostre previsioni da neutrale a sovrappeso, però, avremmo bisogno di vedere una maggiore ripresa per l'economia europea sottostante”.
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mercoledì 25 settembre 2013

Casa: si attenua il calo del mercato delle compravendite , -7,7% nel secondo trimestre

Notizie positive dal Corriere della Sera. Il mercato immobiliare è di poco migliorato.
Infatti nel primo trimestre la flessione era stata pari al 13,8% e il valore medio di un abitazione in Italia sceso di 2400 euro.

Migliora il mercato della casa. Decelera infatti il trend negativo del mercato immobiliare nel secondo trimestre dell'anno. Con un calo del 7,7% rispetto allo stesso periodo del 2012, il volume delle compravendite si attesta a quota 242.817 e recupera sei punti rispetto al -13,8% del primo trimestre. Lo comunica l'Agenzia delle entrate.

VALORE MEDIO - Nel primo semestre del 2013 il valore medio di un'abitazione risulta pari a circa 167 mila euro, in diminuzione (-2.400 euro, -1,4%) rispetto al primo semestre dell'anno scorso. A sua volta il fatturato, che ha toccato i 34 miliardi nel primo semestre, è però diminuito del 12,9%.

giovedì 5 settembre 2013

Eurostat, nell'Eurozona la recessione è «tecnicamente» finita. Anche in Italia la frenata si attenua

Torna il segno più davanti all'indice del Prodotto interno lordo dell'Eurozona. Dopo un anno e mezzo di recessione, Eurostat ha confermato oggi il ritorno alla crescita, per quanto timida, del Pil europeo nel secondo trimestre di quest'anno, dopo sei rilevazioni consecutive in calo, già anticipato da una prima stima a Ferragosto. Il Pil è salito dello 0,3% nell'Eurozona (i 17 paesi che hanno aderito all'euro) e dello 0,4% nell'Ue (che nel periodo aprile/giugno era ancora composta da 27 paesi, ai quali solo in luglio si è aggiunta la Croazia). Rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso, il dato resta negativo nell'Eurozona (-0,5%) mentre è stabile nell'Ue a 27. Per Eurostat, l'Europa si porta così, almeno tecnicamente, fuori dalla recessione, confermando la prima stima dell'ufficio europeo di statistica del 14 agosto.

Italia ancora in frenata, ma meno rispetto al I° trimestre
Meno positivo il dato del Pil riferito all'Italia. Dopo il calo registrato ieri dall'Ocse (-2,4% nel 2012, con ulteriore flessione dell'1,8% nel 2013), l'Eurostat stima il Pil nazionale ancora in discesa nei primi sei mesi dell'anno dello 0,2% rispetto al primo trimeste, calo che comunque segna una attenuazione della contrazione rispetto al -0,6% registrato a inizio anno. Tra gli Stati membri i cui dati sono disponibili, il dato migliore su base trimestrale arriva dal Portogallo (+1.1%), seguito da Germania, Lituania, Finlandia e Regno Unito (tutti a +0.7%). Oltre all'Italia, l'arretramento piu' consistente riguarda invece Cipro (-1.4%), Slovenia (-0.3%), e Olanda (-0.2%).

La soddisfazione di Van Rompuy: finita la crisi esistenziale dell'eurozona
Soddisfatto per i dati diffusi dal Eurostat il presidente del Consiglio Ue, Herman Van Rompuy: «La "crisi esistenziale" dell'eurozona è finita. Ma la crisi economica, di crescita e lavoro, è ancora con noi» e quindi «non è tempo per compiacersi: la spensieratezza potrebbe mettere in pericolo gli sforzi fatti ed i risultati raggiunti». Per Van Rompuy, si cominciano a vedere «risultati concreti», dal momento che i segnali di crescita «sono disomogenei, modesti, forse fragili, ma positivi».

Rehn: segnale di svolta per l'economia europea
La conferma delle previsioni di Ferragosto spinge il portavoce del commissario Ue agli Affari economici, Olli Rehn, a paralre di «ulteriore segnale che l'economia europea ha raggiunto il momento di svolta». Insieme ai recenti indicatori sulla fiducia del business e dei consumatori in rialzo, il dato di oggi «é una conferma della previsione di un graduale ritorno alla crescita nella seconda metà dell'anno».

Brunetta: Italia grande malato, Saccomanni chiarisca coperture Imu
In Italia, gli ultimi dati Eurostat sul Pil (che seguono alle fosche previsioni Ocse di ieri) sono accolti con toni pessimistici dal capogruppo Pdl alla Camera, Renato Brunetta, che sottolinea come l'Italia sia tornata ad essere «il "grande malato d'Europa". Gli altri Paesi sono usciti dalla crisi, noi no». Brunetta invita quindi il ministro dell'Economia Saccomanni a «dire subito cosa intende fare per invertire la rotta», spiegando agli italiani «come coprirà il non aumento dell'Iva dal prossimo primo ottobre (1 miliardo)» e come finanzierà «la cancellazione della seconda rata dell'Imu sulle prime case e sui terreni e fabbricati funzionali alle attività agricole (2,4 miliardi)».

mercoledì 3 luglio 2013

Nel mercato residenziale europeo bene Nord Europa, Svizzera e Londra, il Sud ristagna

Il Sole 24 Ore ci mostra un quadro generale di quello che è il mercato del mattone in questo momento in Europa.

La corsa al mattone tedesco, non solo residenziale ma anche "commercial" (quindi uffici, negozi, centri commerciali e industriale), porta la Germania a gestire oggi la fetta più importante del real estate europeo: il 29% su un totale di 615 miliardi di euro (178,35 miliardi), valore stimato per fine anno in crescita dell'1,4% sul 2012.
L'Italia si ferma al 19%, con un fatturato previsto di 115 miliardi di euro per fine 2013. Sono questi i dati appena pubblicati da Scenari Immobiliari, che valuta nel 74% del totale il valore del segmento residenziale italiano. Dati che si inseriscono in un clima meno statico del passato grazie ad alcune operazioni concluse da operatori stranieri come Axa e Alllianz e altre pronte ad essere firmate. Anche se una vera ripartenza del comparto richiede un repricing più sostanzioso di quello avvenuto finora nel settore commerciale. Le previsioni sul secondo semestre, pur se leggermente positive, sono legate al miglioramento dell'economia complessiva e ad una maggiore fiducia delle famiglie e delle imprese, dice Scenari. Tutto si gioca sul campo della ripresa economica e della crescita. Se non riparte l'economia questa volta il mattone non potrà imboccare di nuovo la strada della crescita. Certamente, secondo gli operatori il real estate non avrà il ruolo di locomotiva per far ripartire anche altri comparti.

Il mercato residenziale
A fare la parte del leone nel fatturato generale è il residenziale, che mostra un andamento a due velocità da mesi. Paesi del Nord Europa, Svizzera e Gran Bretagna (ma quasi esclusivamente Londra) che vanno bene, Sud Europa in tilt. Ma bisogna evidenziare anche una differenziazione del trend in base al segmento di mercato. Il lusso ha tenuto meglio alla crisi, e anche in Spagna il settore delle case di alto livello ha subìto perdite di valore inferiori a quelli registrati da segmenti di livello medio-basso e periferici.
A pesare sulla domanda in Italia - qui i volumi delle transazioni hanno perso 27 miliardi di euro nel 2012, in termini numerici le transazioni si sono ridotte del 25,7% - è il difficile accesso al credito, ma anche la riduzione del reddito disponibile. La crescente disoccupazione e i timori di un inasprimento della crisi economica tengono lontani i compratori dal mercato immobiliare. È così che nel primo trimestre del 2013 l'agenzia delle Entrate registra ancora compravendite in discesa del 14% circa.
Secondo Scenari Immobiliari nel complesso europeo i valori nominali degli immobili sono stabili o in lieve calo, mentre flessioni più consistenti caratterizzano i Paesi in cui la recessione economica è particolarmente grave, quali Spagna, Portogallo, Irlanda e Grecia. In aumento i valori in Germania, Turchia e Svizzera. Quest'ultima con molte città a rischio bolla.

Il segmento uffici
Nonostante la crisi il settore direzionale ha mostrato una discreta tenuta, anche se l'incertezza sull'euro e l'inasprimento fiscale, soprattutto nell'Europa del sud, hanno un impatto pesante sul mercato del lavoro e frenano la ripresa. L'atteggiamento delle grandi società è differenziato: alcune sono prudenti e rimandano le decisioni, mentre altre portano avanti piani di espansione. Molte comunque ricontrattano i canoni per cercare di abbassare le spese. Questo è il trend più evidente del periodo. E i proprietari pur di non perdere l'inquilino si impegnano spesso a ristrutturare o a fornire qualche benefit. Qualche grande multinazionale, come Microsoft alle porte di Milano, intende ridurre drasticamente gli spazi e tornare in centro città. Anche gli edifici di classe A nel settore uffici in questo momento in Italia stanno vivendo un momento di sofferenza. Non c'è mercato per i complessi obsoleti. Anche nel resto d'Europa è in decisa crescita il gap tra immobili primari, con riferimento ai quali la domanda, sia di locazione che di investimento è sostenuta, e quelli secondari, caratterizzati da un eccesso di offerta e quotazioni in calo.

Negozi e shopping center
Gli spazi dedicati al commercio di livello primario hanno mostrato un andamento complessivamente positivo, con un divario sempre più ampio tra i diversi Paesi. Tuttavia le prospettive di sviluppo restano deboli nella maggior parte dei Paesi occidentali, mentre alcuni mercati emergenti, come quelli russo e turco, sono in fase espansiva.
Anche in Italia, dove negli anni passati gli investimenti dei grandi operatori, soprattutto esteri, si erano concentrati su retail park e shopping center, vive una fase riflessiva sul segmento retail.
A soffrire sono soprattutto le location secondarie.
Pertanto i canoni di locazione salgono nelle aree di pregio delle piazze più richieste, quali Istanbul, Mosca, Londra e le principali città tedesche, mentre per gli immobili secondari aumenta l'offerta e scendono le quotazioni.

Industriale
Con la crisi economica imperante certo il segmento degli immobili industriali non può che cedere il passo. Ma ci sono Paesi nei quali nell'ultimo semestre i mercati immobiliari industriali hanno mostrato una lieve ripresa, anche se l'atteggiamento di affittuari ed investitori continua ad essere dominato dalla prudenza. La domanda è in aumento in numerosi mercati, soprattutto con riferimento ai prodotti primari e alle superfici di medie dimensioni. Ancora in sofferenza, invece, le aree secondarie e gli spazi più grandi, per i quali la domanda continua ad essere modesta. Tra i mercati più attivi Amburgo, Monaco e Kiev.

martedì 30 aprile 2013

Così cambia la scommessa dei mercati

Anche il requiem per l'Italia si è rivelato una scommessa sbagliata, così sostiene Il Sole 24 Ore.

Borsa in costante recupero, investitori esteri che tornano a comprare debito italiano, tassi al minimo storico sul breve termine e ai livelli pre-crisi sui decennali, ordini talmente sostenuti in asta da aver riportato il rendimento medio all'emissione attorno al 2%, valore prossimo ai minimi storici dell'ultimo decennio, mentre il tasso medio sull'intera consistenza dei titoli domestici è sceso al 4% dal 4,7% di due anni fa. Uno scenario come questo appariva a dir poco remoto dopo il voto delle politiche.
L'Italia, prigioniera dello stallo elettorale, dell'anti-europeismo e del populismo galoppante, priva di un governo e con un'economia in recessione profonda, sembrava destinata a una progressiva emarginazione dai mercati, tanto da far paventare ad alcuni economisti un imminente ricorso agli aiuti europei. E invece no. Come le previsioni sulla fine dell'euro con la crisi greca, o di una devastante fuga di capitali con il salvataggio di Cipro, anche il requiem per l'Italia si è rivelato una scommessa sbagliata. Certo i problemi restano, dal credit crunch alla peggiore crisi industriale e occupazionale dal dopoguerra. Ma non c'è dubbio che oltre (o forse anche grazie) alla spinta della liquidità di cui tutte le economie stanno beneficiando, l'Italia abbia saputo capitalizzare meglio di altri sul rapido miglioramento delle aspettative degli investitori. A cominciare dal livello tecnico: il Tesoro, modificando l'anno scorso le modalità e il caldendario delle emissioni, ha potuto infatti sfruttare positivamente le finestre di collocamento che si sono via via presentate, garantendosi in appena 4 mesi più del 40% del fabbisogno di rifinanziamento dell'intero anno.
Certo, la strada è ancora lunga e le incognite - non solo interne ma anche internazionali - altissime. Ma resta il fatto che uno scenario come quello attuale rappresenti il migliore che un governo di coalizione, metà tecnico metà politico, si potesse immaginare dopo mesi di vuoto politico e una gestazione tanto travagliata. Come capitalizzare ancora su questo trend sarà però il vero problema.
L'apparente fiducia che i mercati sembrano accordare all'Italia rende infatti ancora più alto il carico di responsabilità che grava sul nuovo esecutivo. Il Paese è in recessione, il lavoro manca, famiglie e imprese sono fiaccate dal fisco e le aspettative depresse da due anni di politiche del rigore. Pensare che agli investitori basti ora un nuovo governo e la promessa di un cambiamento della politica è illusorio e soprattutto pericoloso. I tre cardini programmatici dell'esecutivo a guida Letta - crescita, nuova Europa e riforme politiche - rappresentano esattamente ciò che i mercati chiedono all'Italia e al resto del mondo, ma per riconquistare la fiducia internazionale dopo quanto è successo servono soprattutto i fatti: riforme, certamente, ma anche il coraggio di imporre all'Europa una svolta per lo sviluppo, con meno attenzione ai dogmi tedeschi sul debito e sul deficit.
A dirlo non è soltanto il sistema economico, quello industriale o persino gli speculatori, che mai come ora stanno facendo incetta di debito, sovrano o aziendale. È la realtà dei fatti che lo impone. Mentre i grandi economisti di Harvard come Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff continuano a ripetere che il debito è il vero e unico grande male delle economie e che la sola cura valida resta quella del rigore, mai come ora il mercato è stato pronto a sostenere il contrario: basti pensare che in soli cinque anni, il debito sovrano collocato sui mercati è quasi raddoppiato a 23mila miliardi di dollari (cifra pari alla somma dei Pil di Usa e Cina), mentre i rendimenti medi sono addirittura scesi (secondo i calcoli di Bank of America Merrill Lynch) all'1,34% dal 3,28% di 5 anni anni fa. Con un calo così marcato dei tassi, alla forte richiesta di debito generata dalla liquidità si è ovviamente associata una domanda di rendimenti che ha però trovato pochi sbocchi: Bank of America ha calcolato che dei 23mila miliardi di dollari di debito sovrano circolante, ben 20mila miliardi di dollari abbiano oggi rendimenti inferiori all'1%. Ecco allora il motivo della corsa ai BTp, ai BoT, ai Bonos e persino ai bond del Rwanda e della Mongolia, new entry sul mercato dei capitali: la Mongolia - rating spazzatura - ha appena collocato 400 milioni di dollari di titoli a 10 anni con un tasso del 5,1%, quanto pagava l'Italia fino a poco tempo fa.
Insomma, per i governi, soprattutto quelli dell'area periferica dell'Euro, la situazione attuale presenta opportunità straordinarie, quasi irripetibili, per coniugare (e possibilmente attenuare) le politiche del rigore con quelle per la crescita e lo sviluppo. I mercati, in questo senso, sono oggi ben più avanti della Merkel, dei falchi della Bundesbank e soprattutto dei grandi teorici del rigore, gli unici a non essersi accorti che le politiche espansive delle banche centrali hanno smentito gli assunti di tante teorie.

mercoledì 24 aprile 2013

Bankitalia: «Fisco troppo pesante, danneggia onesti e crescita». «Pressione da redistribuire»

Per il Corriere della Sera la situazione è chiara: per pareggiare il bilancio ci saranno altre correzioni dal 2015. Non ci devono più essere incertezze su tasse immobili.

«Per mantenere il pareggio di bilancio anche dal 2015 sarà necessario introdurre ulteriori correzioni, sia pure di dimensioni limitate rispetto a quanto fatto in passato». Lo ha detto Daniele Franco, direttore centrale per la Ricerca economica e le Relazioni internazionali della Banca d'Italia, nella sua audizione sul Def davanti alle Commissioni congiunte speciali per l'esame di atti del Governo del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati. «Per quanto riguarda la finanza pubblica, il Def mette in luce gli importanti risultati conseguiti grazie agli interventi correttivi attuati negli scorsi anni - ha spiegato -. In particolare, si prevede che l'indebitamento netto continui a scendere e che già nel 2013 sia conseguito l'obiettivo del pareggio di bilancio in termini strutturali, che costituisce il punto di riferimento della riforma costituzionale del 2012 e delle nuove regole europee.

NO INCERTEZZE SU TASSE IMMOBILI - Ma perchè l'Europa riconosca il raggiungimento dell'obiettivo del pareggio di bilancio (con la chiusura della procedura per disavanzi eccessivi) - ha rilevato Franco - «vanno immediatamente dissipate le incertezze sulla stabilità del gettito legato al vigente sistema di imposizione sugli immobili». Il direttore centrale per la ricerca economica di Bankitalia, non ha comunque fatto alcun riferimento esplicito all'Imu mentre in un altro capitolo del testo si fa riferimento alla riforma del catasto per eliminare iniquità.

PRESSIONE AI MASSIMI - Il direttore Franco ha poi aggiunto che la pressione fiscale al 44% è «molto elevata», sia a livello storico sia nel confronto internazionale - 3 punti sopra paesi Ue - e «l'elevato livello di evasione fiscale rende il carico sui contribuenti onesti ancora più ingente» ed «è ostacolo alla crescita». Secondo l'istituto di Via Nazionale, è necessario «ridefinire la composizione del carico tributario in modo da ridurre le distorsioni nell'offerta dei fattori produttivi». «L'elevato livello di evasione fiscale - secondo palazzo Koch - rende il carico sui contribuenti onesti ancora più ingente, esso determina distorsioni nell'offerta di fattori produttivi e fenomeni di concorrenza sleale ed è d'ostacolo alla crescita della dimensione delle imprese».

CONTI E MISURE PER L'ECONOMIA - «La gravità della situazione - ha detto ancora Franco - richiede un'azione di politica economica ampia e organica, che coniughi l'equilibrio dei conti pubblici e le azioni strutturali volte a innalzare il potenziale di crescita dell'economica con il sostegno in tempi brevi del sistema produttivo e delle fasce deboli della popolazione».

martedì 16 aprile 2013

Draghi: «È grave che le banche non prestino a tassi ragionevoli»

Manca competitività. Questa è la base della crisi d'Europa. Così sostiene Mario Draghi secondo quanto riporta il Corriere della Sera.

«Se le banche in alcuni Paesi non prestano a tassi ragionevoli, le conseguenze per l'Eurozona sono gravi». Lo ha detto Mario Draghi, presidente della Bce, durante un intervento all'Università di Amsterdam. Secondo Draghi «È particolarmente sconcertante» che le piccole e medie imprese soffrano più delle grandi aziende, «dato che fanno i tre quarti dell'occupazione». La Bce «non può e non vuole sovvenzionare banche insolventi», ha aggiunto Draghi spiegando che il sostegno in liquidità accordato alle controparti bancarie «non è e non dovrebbe essere un sostegno di capitale». Allo stesso modo, ha detto, nel contrastare i rischi di ridenominazione sui titoli di Stato «non possiamo e non vogliamo sovvenzionare i Governi» dell'Eurozona. Del resto, ha continuato il presidente della Bce, «avviare le riforme strutturali, il risanamento dei conti pubblici e rimettere in ordine i bilanci delle banche non è fra le responsabilità nè nel mandato della politica monetaria».

«ANCORA GROSSI PROBLEMI» - Anche se ci sono miglioramenti rispetto al picco della crisi in Europa «nondimeno, all'orizzonte congiunturale dell'Eurozona si stagliano ancora gros

LA PECULIARITA' DELL'EUROZONA - Il numero uno dell'Eurotower ha spiegato anche che, «a differenza di Paesi con una vera e propria struttura federale o con un'unica autorità di bilancio, l'eurozona è composta da diversi Paesi sovrani». E quindi «il debito di ognuno di questi ha caratteristiche diverse per quanto riguarda la liquidità e il profilo di rischio». Pertanto, conclude Draghi, «non c'è una misura univoca per definire il premio di rischio nell'area euro».

PERDITA DI COMPETITIVITA' - Alla radice della crisi europea c'è, ha dichiarato anche Draghi, il fatto che «gran parte dei Paesi sotto stress soffrono di una perdita di competitività cronica».
si problemi». La maggior parte delle economie dell'Eurozona che si trovano ora sotto stress, ha ricordato Draghi, «e sicuramente tutte quelle che ora stanno avendo le maggiori difficoltà all'aggiustamento, hanno registrato una cronica perdita di competitività dopo essere entrati a far parte dell'unione monetaria». L'erosione della competitività «ha comportato l'emergere di ampi deficit delle partite correnti e, per alcune, l'accumulo di consistenti posisizioni debitorie con l'estero». In alcuni casi, ha continuato Draghi, «l'aumento del debito estero è stato trainato dal maggior indebitamento del settore pubblico».

giovedì 7 febbraio 2013

Mutui, perché l'Euribor ha ripreso a salire e fino a dove può arrivare


Ecco cosa ne sarà, secondo il Sole 24 Ore, dei nostri mutui:


L'Euribor è in risalità. Su tutte le principali scadenze (da 1 mese a 12 mesi) l'indice interbancario tanto caro alle famiglie che stanno rimborsando un mutuo a tasso variabile (o si apprestano a stipularne uno) da qualche giorno ha invertito il lungo trend al ribasso che lo ha portato a toccare i minimi di tutti i tempi. Il primo rialzo si è registrato il 24 gennaio, da allora, al piccolo trotto l'Euribor ha continuato a salire. Oggi l'Euribor a 1 mese è stato fissato allo 0,123% (pochi centesimi in più rispetto al minimo storico dello 0,107%) mentre l'Euribor a 3 mesi è stato fissato allo 0,233% (contro
il minimo a 0,181%).
Sia chiaro, si tratta di ritocchi marginali che però vanno comunque analizzati perché le rate della maggior parte dei mutui variabili sottoscritti in Italia, si adeguano di mese in mese proprio alle oscillazioni, seppur minime, di questo parametro.
Ma perché gli Euribor hanno invertito la tendenza? E fino a dove potrebbero muoversi? Proviamo a rispondere a queste due domande, in attesa di avere nuovi lumi dalla Banca centrale europea che domani tornerà - come accade per ogni primo giovedì del mese - a riunirsi in sede ordinaria e a dettare gli aggiornamenti sulla politica monetaria. E con ogni probabilità dovrebbe mantenere il tasso di riferimento (il costo del denaro) allo 0,75%, minimo di sempre per l'Eurozona. 

Perché gli Euribor stanno salendo
Tralasciando le polemiche e le indagini sulla manipolazioni degli Euribor - che recentemente si sono estese alle banche tedesche visto che l'autorità tedesca di regolamentazione dei mercati finanziari Bafin ha deciso di lanciare una inchiesta approfondita e si sta concentrando su quattro dei principali istituti bancari del Paese, tra cui Deutsche Bank e Portigon - possiamo registrare che i primi rialzi dell'Euribor sono inevitabilmente collegati alla notizia della restituzione di capitali ricevuti in prestito dalla Bce da parte di molti istituti europei.
Seconto quanto comunicato dalla Bce a fine gennaio, 278 dei 583 istituti europei che a dicembre dello scorso anno avevano ricevuto prestiti agevolati per un totale di 489 miliardi, ne hanno restituiti 137 (prima della scadenza) alla Bce. Il dato è superiore alle attese e indica sostanzialmente due cose: 1) avvio di un processo di normalizzazione del mercato interbancario; 2) riduzione di liquidità che si è riflessa sui tassi a breve, spingendoli al rialzo.
Così sono balzati i tassi Eonia (una sorta di Euribor in versione ridotta che misurano la media dei tassi interbancari su scambi giornalieri, tassi overnight). Sono risaliti gli Euribor (da 1 a 12 mesi). E sono risaliti anche i titoli di Stato tedeschi con i titoli battuti in asta a 12 mesi tornati positivi dopo che per sette mesi hanno offerto un rendimento negativo e paradossale.
«Sia chiaro, è un movimento ridotto rispetto ai minimi assoluti, prossimi allo 0, siamo risaliti di pochi centesimi - spiega Roberto Anedda, vicepresidente di Mutuionline.it -. Ma è un segnale importantissimo perché finalmente qualcosa sta tornando verso la normalità: sta ad indicare che il mercato interbancario ha cominciato a riaprirsi e questo potrebbe portare a una progressiva normalizzazione degli Euribor (la media storica degli ultimi 10 anni per l'Euribor a 3 mesi è del 3% contro lo 0,23% attuale,ndr)».

Le previsioni sugli Euribor
In questo momento i future che proiettano l'andamento dell'Euribor a 3 mesi da qui a cinque anni indicano una lenta ma costante risalita: il tasso dovrebbe portarsi allo 0,5% a fine 2013 per raddoppiare all'1% a settembre 2014 fino a raggiungere l'1,8% nel settembre 2017. Previsioni che vanno ovviamente prese con le pinze perché attualizzano quello che oggi il mercato pensa accadrà nei prossimi anni. I margini di errore, quindi, sono alti. Ma la tendenza di fondo resta valida: questi Euribor non possono che salire in conseguenza del fatto che il mercato interbancario, e quindi lo stato di salute delle banche dell'Eurozona, non può che migliorare rispetto alla condizione anomala in cui versa in questa fase.

Cosa cambia per i mutui

Una notizia che non farà piacere a chi sta rimborsando un mutuo a tasso variabile che vedrà probabilmente nei prossimi mesi piccoli ritocchi al rialzo delle rate, dopo aver però beneficiato negli ultimi anni della straordinaria caduta degli Euribor. Nel computo algebrico complessivo quindi, in caso di rialzo degli Euribor, andrebbero messi anche gli incredibili vantaggi percepiti dalla generazione di mutuatari fortunati con lo scivolone degli utlimi anni. E poi, un altro dato: le previsioni indicano sì un trend rialzista ma decisamente al piccolo trotto (150 punti base partendo da soglie azzerate) in quattro anni. Ciò significa che la differenza che oggi persiste tra i migliori mutui a tasso variabile (3%) e i migliori a tasso fisso (5%) offre ai "variabili" ancora un margine di vantaggio per valutare seriamente questa opzione, anche alla luce del trend sull'Euribor.
A ciò va aggiunto, per chi oggi si appresta a stipulare un mutuo, che un eventuale rialzo degli Euribor non potrà che essere accompagnato da una contestuale discesa degli spread applicati dalle banche sui mutui. Perché a quel punto le banche non avrebbero più giustificazioni per tenerli alti.

mercoledì 30 gennaio 2013

Mutui, perché uno spread all'1% è ormai un'illusione. Ecco la formula che utilizzano le banche

Il Sole 24 Ore mostra un interessantissimo articolo da non perdere:
Nessuna scossa sul mercato dei mutui. Anche questa settimana è iniziata con gli stessi spread. Mediamente al 4,05%, nelle migliori offerte al 2,85% (tasso variabile) e 3% (tasso fisso). Una storia che ormai va avanti da oltre un anno.
A quanto risulta al Sole 24 Ore, però qualche istituto è pronto a lanciare a breve campagne pubblicitarie per rilanciare le erogazioni di mutui attraverso una riduzione degli spread verso quota 2,7%. Decisivo sarà l'esito delle elezioni. Alcuni istituti, infatti, prima di ridurre un po' gli spread (e rendere quindi più competitivi i mutui in un mercato immobiliare peraltro ingessato anche da una bassa domanda) aspettano di vedere come andrà la tornata elettorale di fine febbraio sperando che non porti scossoni al debito pubblico e all'altro spread, quello tra BTp e Bund.
In ogni caso, pur ipotizzando uno scenario elettorale poco turbolento e considerando che negli ultimi mesi le banche hanno beneficiato dello scudo anti-spread lanciato da Draghi e dell'allentamento dei vincoli patrimoniali dei Basilea III, le aspettative di riduzione degli interessi sui nuovi mutui restano magre. Se è vero che le nuove migliori offerte si potrebbero attestare con uno spread intorno al 2,7%, è vero anche che siamo lontani anni luce da luglio 2011, quando si stipulavano mutui in Italia con sopread allo 0,9%.
Perché siamo ancora così distanti? Per capirlo bisogna scomporre lo spread e vedere come le banche lo calcolano.
Innanzitutto usciamo da un luogo comune, quello che vede lo spread associato al margine di guadagno della banca sul mutuo. Il margine di guadagno è uno dei tre elementi che compongono lo spread. Gli altri due sono: il costo di raccolta del denaro all'ingrosso e i costi di copertura dal rischio di oscillazione dei tassi.

I costi di raccolta
Quanto al primo punto le banche, come qualsiasi negoziante, comprano il denaro all'ingrosso (mercato interbancario) e lo rivendono a un costo maggiorato al dettaglio (attraverso prestiti e mutui).
Come si misurano i costi di raccolta capitali delle banche sul mercato interbancario? Normalmente basta vedere l'andamento dei principali indici interbancari, gli Euribor (per le durate brevi, da 1 settimana a 12 mesi) e gli Eurirs (per le durate più lunghe) . La crisi finanziaria in corso ha però evidenziato le lacune del cacolo dell'Euribor, che esprime la sintesi dei tassi a cui un panel di 39 banche internazionali (perlopiù europee) dichiara di prestarsi soldi. In questo momento l'Euribor a 1 mese è allo 0,12% mentro quello a 12 mesi è allo 0,6%. Tassi molto bassi, addirittura più bassi del tasso di riferimento della Bce (0,75%). Poi ci sono gli Eurirs che viaggiano più cari in quanto la durata aumenta: il tasso a 10 anni è all'1,87%, quello a 20 al 2,39% e quello a 25 al 2,43%. Si tratta dei minimi di tutti i tempi.


martedì 16 ottobre 2012

Salasso fiscale in portogallo: monta la protesta

Parlamento blindato ieri sera a Lisbona, dove la polizia è entrata in azione in forze di fronte alla protesta popolare innescata dal nuovo salasso fiscale previsto dalla finanziaria 'lacrime e sangue' presentata ieri per il 2013 dal governo portoghese.

Giustificata con la necessità di mantenere gli impegni con l'Ue di fronte alla pesantissima crisi che investe il Paese, la manovra è stata difesa a spada tratta dal primo ministro, Pedro Passos Coelho, che si è detto deciso ad andare avanti sulla strada dell'austerità anche a costo di far pagare un prezzo al suo partito (sconfitto giusto l'altro ieri nelle elezioni regionali delle Isole Azzorre dall'opposizione socialista).

La finanziaria 2013 rischia tuttavia di scatenare una nuova ondata di proteste di piazza fin nel cuore della capitale. Si tratta d'altronde della manovra più restrittiva della storia democratica del Portogallo, fondata all'80% sull'imposizione fiscale.

Tre dei cinque miliardi di euro previsti dovranno essere infatti incamerati attraverso aumenti di imposte dirette sui contribuenti, a quanto stima il quotidiano Negocios. Il provvedimento include inoltre un taglio sulle pensioni, una tassa sulle transazioni finanziarie, una falcidie su esenzioni e sussidi e un aumento delle imposte sulla casa: per centrare gli obiettivi di stabilizzazione del rapporto deficit/Pil imposti dalla troika pur in presenza d'una profonda recessione.

Il premier conservatore Pedro Passos Coelho, che nelle scorse settimane, sull'onda di una prima mobilitazione delle piazze, era stato costretto a ritirare una ricetta a colpi di riduzione degli stipendi, ha affermato che questa volta non ci potranno essere passi indietro sul fronte di tagli e risparmi. Mentre il ministro delle Finanze, Vito Gaspar ha avvertito il parlamento che il testo presentato ieri non può essere modificata nei punti fondamentali, pena la perdita da parte del Portogallo di tutta la credibilità finora recuperata.

"Il nostro margine di manovra è inesistente", ha rimarcato Gaspar, citato dall'agenzia Lusa, facendo riferimento agli impegni assunti di recente con la troika in cambio della 'ciambella di salvataggio' da 78 miliardi ottenuta dal Portogallo. Spiegazioni che in ogni modo non sembrano poter spegnere l'ira dei manifestanti. E che del resto anche alcuni economisti respingono, giudicando "suicida" per il Paese una strategia che porta il carico fiscale complessivo - imposte indirette e contributi previdenziali inclusi - a un nuovo record: oltre la soglia del 36% del Pil. (ANSA

venerdì 31 agosto 2012

La crisi? Uno studio dà la colpa alla Cina

"Non c'entrano i mutui subprime e nemmeno Lehman Brothers. La crisi finanziaria che in quattro anni è dilagata in tutto il mondo fino a colpire pesantemente l'Europa avrebbe avuto la sua origine in Cina.
E' il risultato a cui è giunto un nuovo studio pubblicato dall'Erasmus Research Institute of Management e condotto da Heleen Mees.

Dalla Cina sarebbe infatti partito il fiume di denaro facile che avrebbe poi inondato il mercato immobiliare Usa creando la bolla collassata sul finire del 2007, mentre i derivati sul credito come CDO e MBS sarebbero stati sottoscritti solo su meno del 5% dei nuovi mutui stipulati tra il 2000 e il 2006: troppo poco per provocare il terremoto a cui l'economia mondiale è andata incontro.

Ripercorriamo allora la catena di eventi che secondo la ricostruzione della Mees avrebbe condotto al crack della finanza globale.

Per farlo occorre tornare al 2003-2004, quando la politica monetaria lassista della Federal Reserve aveva portato a un vertiginoso aumento della spesa da parte degli americani. Spesa che prendeva la strada della Cina dato che dall'ex Celeste Impero proveniva buona parte dei beni più apprezzati dai consumatori a stelle e strisce. Oltremuraglia le spese degli americani assumevano la forma di risparmi cinesi, tanto che in quegli anni – ha ricostruito lo studio – il risparmio in Cina era pari a oltre la metà del Pil. Questi soldi però, lungi dal fermarsi a Pechino o Shanghai, riprendevano la via di Wall Street, o meglio del reddito fisso dello Zio Sam, abbassando i tassi di rendimento dei titoli di Washington e a livello mondiale già a partire dal 2004.

Con i tassi d'interesse a livelli depressi, ossia con il denaro a basso costo, il passo successivo non poteva che essere il boom del mercato immobiliare Usa. Una successione di eventi alla quale quello che oggi è il governatore della Federal Reserve, Ben Bernanke, aveva nel frattempo fornito il necessario supporto accademico – spiega ancora lo studio – attraverso una ormai nota dissertazione sui benefici degli interventi su larga scala da parte delle banche centrali." (Finanza.com)

giovedì 19 luglio 2012

Balcani: crisi del mercato immobiliare

"La crisi economica preme e il settore immobiliare ne risente dappertutto, ma ci sono ambiti e Paesi dove la situazione si mostra ancora più difficile: è quando sta accadendo, ad esempio, nei Balcani dove il comparto immobiliare ha iniziato a denotare i primi sintomi della crisi già alla fine del 2008 ed ora il costo delle case è diminuito in una percentuale variabile tra il trenta ed il cinquanta per cento in tutta la zona. Secondo quanto riportato dal sito Setimes.com, sito internet che si occupa delle notizie provenienti da molte nazioni di questa area geografica: dalla Serbia alla Grecia, dalla Romania all’Albania, i progetti per lo sviluppo industriale ed i piani per l’accrescimento del turismo si sono bloccati o sono stati rimandati a momenti migliori; se il tutto dovesse proseguire in questo modo le prospettive degli affari immobiliari appaiono assolutamente desolanti e per nulla positive, come viene sottolineato da tutti gli esperti del settore, a parere dei quali permane un certo interesse delle aziende verso queste aree che è stato solo rimandato, non cancellato, a causa del difficile momento economico.

Soltanto poco tempo fa, nel 2007, il Montenegro era il centro dell’area balcanica per gli investimenti nel settore degli immobili: conquistata infatti l’indipendenza nel 2006 vi era stato un importante affluso di investimenti soprattutto da parte di miliardari russi che aveva spinto i prezzi delle abitazioni nella Capitale montenigrina intorno ai mille euro al metro quadro, mentre sulla cosa il costo si aggirava intorno ai 2500 euro, ora nelle città turistiche della costa, come ad esempio Bar, il crollo dei prezzi è stato circa dell’ottanta per cento."
(da Mercato Immobiliare)

mercoledì 27 giugno 2012

Angela Merkel: Non esistono strade facili per uscire dalla crisi

Angela Merkel
L'uscita dalla crisi non potrà essere semplice e rapida. Lo dice il cancelliere tedesco, Angela Merkel, parlando davanti al Bundestag alla vigilia del vertice europeo. "Non sarà mai detto abbastanza, ma non esistono soluzioni facili e veloci a questa crisi" ha detto la Merkel, aggiungendo che con Mario Monti l'Italia ha affrontato un percorso di "solidità" e "crescita".

Riguardo agli Eurobond, la Merkel ha ribadito la propria contrarietà a tali strumenti definendoli "economicamente controproducenti" e, aggiungendo che "la forza e la solidità della Germania non deve essere sovrastimata". Il cancelliere  ribadisce che l'uscita dalla crisi "sarà un processo graduale" e ripete che "non ci può essere crescita senza consolidamento dei conti pubblici".

(Telebrsa)

mercoledì 13 giugno 2012

Crisi finanziaria: Monti convoca un vertice d'urgenza

Mario Monti
Il premier Mario Monti ha convocato ieri sera per un vertice d'urgenza i leader dei tre partiti che sostengono il governo, Angelino Alfano per il Pdl, Pier Luigi Bersani per il Pd e Pier Ferdinando Casini per l'Udc. Come era facile prevedere, dopo che l'Unione Europea è dovuta intervenire anche a sostegno della Spagna, tutti gli occhi si sono puntati sull'Italia, considerata il prossimo "birillo" pronto a cadere. I dati della Borsa e l'aumento dello spread hanno convinto Monti a chiedere urgentemente un segno di coesione da parte dei partiti che sostengono la maggioranza perchè la notizia di possibili elezioni anticipate rischia di peggiorare la già difficile situazione. Al termine dell'incontro, Palazzoi Chigi ha emesso una nota in cui ha precisato che "nel corso dell'incontro, che è durato un'ora, i tre leader hanno confermato il pieno sostegno al Governo e l'impegno a portare sollecitamente a compimento le riforme all'esame del Parlamento e i provvedimenti in corso di elaborazione nell'ambito della spending review". Secondo indiscrezioni, lo spending review dovrebbe portare ad un taglio di 5 miliardi di spese sul bilancio 2012, ma non sarebbero sufficienti visto la situazione tra terremoti, calo delle entrate e aumento dello spread. Per cui si prevedono altri tagli, mentre Monti proclama che l'Italia non avrà bisogno nemmeno in futuro dell'aiuto del Fondo salva Stati Europeo.
(onli.it)

martedì 12 giugno 2012

Lagarde: i politici devono compiere passi decisivi per uscire da crisi

Christine Lagarde ha sollecitato "misure incisive" da parte di politici europei per affrontare la crisi finanziaria della regione.
In un discorso preparato in vista del prossimo Earth Summit del 20-22 giugno, il girettore generale del Fondo Monetario Internazionale ha detto che la stabilità economica e finanziaria è fondamentale per affrontare le sfide ambientali del mondo.
"Abbiamo bisogno di una strategia valida per la stabilità e positiva per la crescita, dove la stabilità è favorevole alla crescita e la crescita facilita la stabilità" ha detto.
"Ciò deve iniziare con le economie avanzate, specialmente quelle europee. I responsabili politici devono prendere misure decisive per liberarsi della crisi", ha aggiunto.
I politici dovrebbero puntare alla combinazione di una politica monetaria "molto accomodante", insieme all'uso di risorse comuni per fornire supporto diretto alle banche e al sostegno di politiche favorevoli alla crescita dove è fiscalmente possibile.
(Reuters)

venerdì 8 giugno 2012

Trichet: l'UE gestisca il budget degli stati per salvare l'euro

Jean-Claude Trichet
Jean-Claude Trichet stima che l’Unione Europea deve poter gestire il budget di uno stato membro in caso di stallo.
L’ex presidente della BCE  ha infatti proposto giovedì che l’Unione Europea possa gestire il budget di uno stato membro se essa constata la sua incapacità di mettere in ordine le proprie finanze, come parte delle misure da prendere per preservare l’Euro dalla crisi greca.
Trichet propone, in assenza di un’unione federale politicamente difficile da attuare, l’attivazione di un meccanismo eccezionale, quando la politica fiscale di un paese minaccia l’insieme dell’unione monetaria.
Jean-Claude Trichet ha fatto notare che gli elementi di questo meccanismo erano di fatto già in vigore, visto che i paesi membri avevano accettato, il patto fiscale europeo, sorvegliando i rispettivi budget e sanzionando i deficit eccessivi.
Il prossimo passo, secondo l’ex capo della BCE, sarebbe di mettere un paese sotto amministrazione europea quando il suo governo o il suo parlamento non sono in misura di applicare delle politiche fiscali approvate dall’UE.

giovedì 24 maggio 2012

G8: le necessità primarie sono crescita e posti di lavoro. Grossi timori su Grecia ed Eurozona

Da Camp David il giudizio è unanime: è necessaria “un’agenda forte” contro la recessione. I leader sono inoltre apparsi compatti contro il regime di Assad in Siria e sulle sanzioni all'Iran. All’uscita dal summit pochi ma fondamentali sono apparsi i dictat da seguire per uscire dalla crisi mondiale, primo fra tutti la garanzia di posti di lavoro. La sfida più difficile sarà quella di coniugare la coesione nel perseguire la ripresa con il rigore fiscale necessario. L’interesse primario è apparso subito quello di mantenere la Grecia all’interno dell’Eurozona facendo sì che rispetti gli impegni presi. I grandi Otto hanno ribadito l’importanza per i governi di lavorare per ripristinare la fiducia e nutrire la ripresa grazie a riforme volte ad aumentare produttività, crescita e domanda. Il tutto all’interno di un quadro economico non inflazionistico e credibile. Fonti dell’Eliseo affermano che “c’è una convergenza molto forte tra Francois Hollande e Mario Monti su come promuovere la crescita per uscire dalla crisi”. Il Presidente del Consiglio Monti si è detto ”fiducioso” perche’ l'Italia che ora “è in regola” può chiedere il rafforzamento della crescita ed è “rispettata in Europa e negli Stati Uniti”. Presenti alla cena di apertura anche il presidente della commissione Europea, Josè Manuel Barroso e il presidente del Consiglio Europeo Herman Van Rompuy. Questi hanno ribadito che la Ue farà tutto quanto in suo potere per stabilizzare la Grecia e l’Eurozona, senza piani su eventuali uscite di Atene dall’euro. “Vorrei riaffermare molto chiaramente che vogliamo che la Grecia rimanga nell’eurozona, la Grecia è parte della famiglia europea”, ha detto Barroso. Mentre Van Rompuy ha sottolineato come la partecipazione della Grecia implichi “solidarietà e responsabilità”. A proposito della questione del prezzo del petrolio, Obama verosimilmente proporrà che venga rilasciata parte delle riserve petrolifere strategiche delle diverse nazioni per abbassarne i prezzi. Gran Bretagna e Francia sarebbero concordi. Sul fronte del Medio Oriente, i leader hanno specificato che l’Iran ”ha l’obbligo di dimostrare che il proprio programma nucleare è pacifico”. Altrimenti si andrà avanti sulla strada delle sanzioni, soprattutto sul mercato petrolifero. Riguardo la Siria, l’amministrazione americana afferma che gli Otto hanno concordato sul fatto che vada sostenuto il piano Annan e che il regime di Assad lo debba applicare alla lettera favorendo la transizione politica, se non vuole ripercussioni da parte della comunità internazionale. Anche Medvedev si sarebbe detto d’accordo. Infine, nel corso della cena Obama avrebbe introdotto un argomento imprevisto: quello di promuovere sempre il principio dell’uguaglianza dei diritti per le donne. Argomento che il presidente americano vorrebbe sviluppare durante i prossimi incontri.

giovedì 17 maggio 2012

Obama e Monti sulla crisi: crescita e occupazione obiettivi prioritari

La crescita e l’occupazione sarebbero obiettivi prioritari secondo Il presidente Usa Barack Obama e il presidente del Consiglio italiano Mario Monti per uscire dalla crisi economica che sta attanagliando l'Eurozona.
Ieri i due leader ne hanno discusso durante un colloquio telefonico che anticipa di qualche giorno il G8 di Camp David. Altro tema caldo la guerra in Afghanistan che sarà al centro del vertice Nato a Chicago , a partire da domenica.
La telefonata rappresenta l'ultimo segnale che questo potrebbe essere il momento giusto per stringere i tempi sulla questione crescita nell'Eurozona, dopo anni di politiche di austerita'. La necessita' di stimolare la crescita e tagliare le spese e' stata sottolineata anche dall'elezione del nuovo presidente francese Francois Hollande, che ieri a Berlino ha incontrato il Angela Merkel, strenuo difensore dell'austerity.
Obama e Monti avrebbero convenuto sull’immediato bisogno di intensificare gli sforzi per la creazione di posti di lavoro. ''Il presidente attende di discutere questi argomenti in modo piu' dettagliato con il primo ministro italiano durante la prossima riunione dei leader del G8 a Camp David questo fine settimana'', fa sapere la Casa Bianca. Obama e Monti hanno poi discusso di Afgfhanistan e del passaggio della gestione della sicurezza dalla Nato alle autorita' locali in vista del ritiro delle forze Isaf pervisto entro il 2014.