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venerdì 4 aprile 2014

La Bce non tocca i tassi. La disoccupazione ancora alta

Mario Draghi dice che "la ripresa procede". Speriamo che sia realmente così...
Di seguito un pezzo tratto dall'articolo di ieri del Sole 24 Ore.

«La ripresa procede» e si conferma la previsione di un «prolungato periodo di bassa inflazione» seguito da una normalizzazione. Lo ha detto il presidente della Bce, Mario Draghi dopo che il direttivo ha lasciato invariati i tassi allo 0,25%. L'ultimo taglio deciso dalla Bce risale al novembre scorso, quando il tasso di riferimento è stato abbassato di un quarto di punto al livello attuale che rappresenta un minimo storico per l'Eurozona. Il tasso sui prestiti marginali viene confermato allo 0,75% e quello sui depositi overnight delle banche presso la Bce a zero.

L'alta disoccupazione rischia di diventare strutturale

Draghi ha poi aggiunto che la «disoccupazione resta troppo elevata, il gap produttivo alto». Si conferma nell'area euro «una crescita moderata» ma «restano rischi al ribasso» per la crescita. I rischi geopolitici hanno il potenziale per influenzare negativamente l'economia dell'Eurozona.«La mia paura maggiore si è in un certo senso già avverata e cioè quella di una stagnazione prolungata con livelli di disoccupazione elevati», confessa Draghi sottolineando - a proposito del tasso di senza lavoro - che «più a lungo resta alto, maggiore è il rischio che questa disoccupazione diventi strutturale».

«Inflazione bassa influenzata dalla Pasqua alta»
Draghi non vede rischi futuri di deflazione e ha sottolineato che il dato di inflazione basso a marzo (0,5% nell'Eurozona) è stato influenzato anche dalla Pasqua alta. «Quest'anno Pasqua cade molto più tardi» che nel 2013 e siccome «intorno a Pasqua la spesa per i servizi sale» questo spiega perche «il dato marzo sull'inflazione è stato più basso e quello di aprile sarà più alto».

venerdì 14 marzo 2014

Draghi: pronti ad agire contro il super euro. La moneta unica cala a 1,38

Leggevo l''articolo seguente sul Sole 24 Ore e ho pensato potessere essere interessante condividerlo.

La forza dell'euro sta diventando «sempre più rilevante» sulle decisioni della Bce e il presidente Mario Draghi ha riaffermato che l'istituzione «sarà pronta ad agire con misure decisive, se necessario». Una presa di posizione che conferma il crescente disagio dell'istituzione per l'accelerazione dei rialzi dell'euro, seguito all'assenza di misure espansive, la scorsa settimana, proprio dall'Eurotower. Disagio che negli ultimi giorni è stato manifestato da vari esponenti del Consiglio direttivo.

Ultimo, oggi, perfino l'arcifalco Jens Weidmann, governatore della Bundesbank, che facendo eco ad alcuni suoi colleghi aveva affermato che ulteriori apprezzamenti dell'euro potrebbero spingere la Bce ad ammorbidire la sua linea. Il tutto mentre la valuta condivisa è risalita sopra la soglia di 1,39 dollari, come venerdì scorso, sui massimi dall'ottobre 2011 e con un picco di seduta a 1,3965. La forza dell'euro rischia di frenare la ripresa economica, rendendo meno competitivo l'export verso i paesi extra Unione, e di deprimere ulteriormente una inflazione ritenuta già troppo bassa dalla Bce.

Nel suo intervento alla cerimonia di conferimento del premio in ricordo dell'economista Joseph Schumpeter, a Vienna, Draghi ha ricordato che l'istituzione si è impegnata a tenere i tassi di interesse ai livelli attuali, o più bassi a lungo. E ha affermato che se l'economia procederà come previsto su una progressiva ripresa, mentre l'inflazione risalirà lentamente dallo 0,8% attuale a livelli più vicini al 2%, da questa linea morbida risulterà un «abbassamento dei tassi di interesse reali». Si tratta del livello dei tassi di riferimento ufficiali al netto dell'inflazione. Inoltre «il differenziale reale dei tassi tra l'area euro e il resto de mondo probabilmente si ridurrà, creando pressioni ribassiste sui cambi» dell'euro, ha aggiunto il capo della Bce.

Draghi ha poi rilevato che comunque al momento i rischi di deflazione sono «piuttosto limitati» (usando una terminologia forse più morbida anche in questo caso rispetto alle ultime settimane). E che più a lungo durerà la bassa inflazione maggiori saranno i rischi. Ha infine precisato cosa potrebbe innescare un intervento della Bce: se si dovessero evidenziare attese generalizzate del pubblico su futuri cali dei prezzi.

Dopo la chiusura di Wall Street l'euro viene scambiato a 1,3869 dollari, in calo proprio grazie alle parole di Draghi.


lunedì 15 luglio 2013

Borse, una partita a poker. Aspettando la (vera) svolta

Trovato sul Corriere della Sera:

La brusca frenata di fine maggio non ha rovesciato la tendenza di fondo. I listini del Vecchio Continente continuano la loro marcia di recupero che sembrava essersi interrotta sulla scia delle intenzioni della Federal Reserve americana di rallentare il programma di acquisto di titoli sulmercato secondario (quantitative easing). Nella finanza globalizzata, in cui predomina l’interdipendenza tra le economie e le politiche monetarie, la semplice ipotesi di una attenuazione delle scelte monetarie espansive aveva gettato nel panico gli operatori e aveva provocato una violenta correzione dei listini. Anche sulla sponda europea dell’Atlantico.

Ma ecco che da Francoforte (e contemporaneamente anche da Londra, per bocca del nuovo governatore della Bank of England Mark Carney) arriva la rettifica. «I tassi nell’eurozona rimarranno bassi ancora a lungo», ha dichiarato il presidente Mario Draghi nel corso della riunione del board della Bce di giovedì scorso. E le borse, che da alcune settimane non facevano che inanellare sedute di segno negativo, hanno risposto con entusiasmo a questa prospettiva, con rialzi che vanno dal 3,4% di Piazza Affari, al 2,1% di Francoforte.

Inutile ricordare che le prospettive economiche, soprattutto in Italia rimangono oscure. Ma il nuovo peggioramento della crisi del debito portoghese e la consapevolezza che la ripresa non comincerà prima della fine dell’anno non bastano a deprimere i listini. Che giocano d’anticipo e che scommettono già adesso su quei settori e su quelle società che registrano buoni tassi di crescita degli utili e del fatturato. In questo quadro di frammentazione, predomina fra i listini europei un tratto comune. Tutte le principali piazze finanziarie trattano a sconto, con una media del rapporto prezzo/utili di appena 11,8 volte, contro le 14,5 volte della borsa di Wall Street, sostenuta da un’economia in crescita.

Su quale cavallo puntare, dunque, da oggi a fine anno? Londra o Parigi? Francoforte o Milano? CorrierEconomia traccia un identikit delle principale borse del Vecchio Continente, in attesa che arrivi la cavalleria. La ripresa, quella vera.

giovedì 20 giugno 2013

Borse europee nervose in attesa della Fed. Spread a 270. Wall Street debole, tonfo finale

Dalla Repubblica.

MILANO - L'accordo sull'anti riciclaggio arrivato dal G8, insieme alle prese di posizione su crescita e lavoro hanno lasciato indifferenti i mercati assetati di stimoli per il breve periodo. La crescita, quando arriverà, servirà - eventualmente - a consolidare i profitti, ma si tratta ancora di una prospettiva troppo lontana. Gli addetti ai lavori preferiscono quindi concentrarsi sugli stimoli in arrivo dalla grandi banche centrali. Oggi è toccato alla Fed che ha chiuso la due giorni di riunioni del Fomc, il braccio di politica monetaria: a mercati europei già chiusi, Ben Bernanke, che a gennaio cederà la guida della banca centrale (al suo posto potrebbe arrivare la sua vice Janet Yellen) ha annunciato che i tassi restano invariati e ha confermato il programma di acquisto di titoli da 85 miliardi di dollari al mese. "Dal 2014 - ha però avvertito Bernanke - la politica di stimoli monetari potrebbe essere interrotta".
In questo contesto i mercati hanno mostrato nervosismo con repentine oscillazioni. Piazza Affari torna in sofferenza sull'incertezza di Wall Street e alla fine Milano cede lo 0,94%, sui minimi di giornata. A pesare maggiormente sul Ftse Mib sono le banche, ma anche Telecom Italia incappa in una giornata negativa con una performance tra le peggiori delle blue chip. Bene di contro Mediaset, che proprio nel giorno della sentenza della Corte Costituzionale per la vicenda del legittimo impedimento nel processo sul Biscione, tocca i livelli del novembre 2011 con un balzo di quasi cinque punti. Rimbalza invece Saipem dopo i recenti tracolli. Nel resto del Vecchio Continente, Parigi chiude a -0,55%, Londra a -0,4% e Francoforte a -0,39%. Lo spread tra Btp e Bund tedeschi scende leggermente sotto quota 270 punti base, per un rendimento del decennale italiano sul mercato secondario al 4,2%. L'euro chiude sui livelli di apertura, sul filo di quota 1,34 dollari, mentre i mercati guardano alle decisioni della Fed, che saranno prese stasera. La moneta europea passa di mano a 1,3394 dollari, dopo essere salita fino a un top di 1,3411. A livello macroeconomico si segnala il +2% registrato dal settore delle costruzioni nell'Eurozona in aprile, la prima inversione di tendenza rispetto ai ribassi iniziati negli ultimi mesi del 2012. In Italia si è registrato un balzo del 5,5%.
Debole Wall Street che, dopo l'annuncio delle decisioni della Fed, accentua le perdite: in chiusura il dow jones perde l'1,34 per cento; il Nasdaq l'1,12. Pesa anche il fatto che negli Stati Uniti le richieste di mutui nell'ultima settimana (terminata il 14 giugno) sono calate del 3,3% a 648,9 punti da 670,7 punti una settimana fa.

venerdì 31 maggio 2013

Le imprese hanno ora bisogno che la Bce porti il tasso sui depositi sotto-zero

Sul Sole 24 Ore ho trovato questa notizia...

Gli analisti sono divisi soltanto sulla data del prossimo taglio dei tassi da parte della Banca centrale europea: giugno o luglio? Al netto di questo dubbio la maggior parte è certa che a breve l'istituto di Francoforte ridurrà ulteriormente il costo del denaro, attualmente fissato al minimo storico dell'area euro dello 0,5% (con il tasso sui depositi, quello che la Bce paga alle banche che parcheggiano la liquidità, già azzerato).
Nelle ultime ore l'Ocse, l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, ha esortato il governatore Mario Draghi a intervenire ancora, portando in negativo il tasso sui depositi per scoraggiare quindi le banche dal parcheggiare la liquidità nel conto corrente della Bce. Con la speranza che una parte di questa liquidità finisca invece nell'economia reale, a quelle Pmi che arrancano a causa della chiusura dei rubinetti del credito (nell'ultimo anno secondo Bankitalia lo stock di prestiti bancari alle imprese si è ridotto di 40 miliardi).
Ma il punto è proprio questo: un taglio dei tassi da parte della Bce impatterà positivamente nell'economia reale? Purtroppo la speranza che questa liquidità offerta quasi gratuitamente alle banche venga girata alle imprese sono remote. Per almeno tre motivi:
1) le banche devono rafforzare il patrimonio per via dei vincoli più stringenti di Basilea III;
2) le banche preferiscono fare profitti immediati che profitti a medio-termine (anche perché i bonus ai manager vengono commisurati sui profitti annui). Questo fa sì che spesso risulti più "conveniente" per le aziende bancarie utilizzare la liquidità per compiere operazioni speculative piuttosto che oliare imprese che operano in un tessuto produttivo a Pil calante (quale appunto l'Italia);
3) non esiste una legge/regolamento che obblighi le banche a prestare soldi alle imprese. Una funzione vitale per l'economia che ad oggi rientraperò  tra le facoltà delle banche;
Per cui, l'unica speranza che una parte dell'ulteriore liquidità che finirebbe nelle casse delle banche con un conseguente taglio dei tassi da parte della Bce è che ciò accada per via indiretta. In che modo? Se il tasso sui depositi fosse portato su una soglia negativa potrebbe innescare una vendita di euro comportando a ruota una svalutazione della moneta unica. Svalutazione che risulterebbe "competitiva" per molte imprese e aiutarebbe l'export. Una ripresa dell'export e delle prospettive di utili per le imprese potrebbe poi spingere le banche a trovare più conveniente puntare su imprese nuovamente profittevoli. Ed è così, che al compimento del cerchio, le banche potrebbero tornare a prestare alle imprese la liquidità che comprano oggi a buon mercato dall Bce.
governatore Mario Draghi a intervenire ancora, portando in negativo il tasso sui depositi per scoraggiare quindi le banche dal parcheggiare la liquidità nel conto corrente della Bce. Con la speranza che una parte di questa liquidità finisca invece nell'economia reale, a quelle Pmi che arrancano a causa della chiusura dei rubinetti del credito (nell'ultimo anno secondo Bankitalia lo stock di prestiti bancari alle imprese si è ridotto di 40 miliardi).

martedì 7 maggio 2013

Lo scudo Bce funziona. Per ora

Da Morningstar.it:

La Banca centrale europea continua a vigilare e nella regione si respira un po’ di ottimismo. L’indice Msci del Vecchio continente nell’ultimo mese (fino al 3 maggio e calcolato in euro) ha guadagnato il 2,8%, portando a +8,8% la performance da inizio anno. Merito, ancora, della promessa fatta dall’istituto di fare il possibile per salvaguardare l’unità della moneta unica e della possibilità di mettere in campo il piano Omt (Outright monetary transaction) per contenere l’aumento degli spread governativi.
La Bce nei giorni scorsi ha annunciato da Bratislava il quarto taglio dell’era di Mario Draghi che ha portato il costo del denaro nell'Eurozona al nuovo minimo storico dello 0,5% (-25 punti base). E’ sceso anche il tasso sui prestiti marginali (-50 punti base all’1%) mentre resta invariato quello sui depositi (a zero). Il presidente della Bce ha, però, detto che la Banca “è aperta” a valutazioni su questo punto. In altre parole, ha lasciato uno spiraglio sulla possibilità di una discesa sottozero come incentivo alle banche a usare tutta la liquidità in eccesso (121 miliardi circa) per finanziare imprese e famiglie. Resta da vedere se questo interventismo della Bce reggerà alla prova dei fatti. “I tassi di interesse che restano a livelli troppo bassi per tanto tempo possono sfociare in distorsioni”, ha detto Joerg Asmussen, rappresentante del Comitato esecutivo della Bce, in un discorso all’Economist’s Bellwether Europe Summit a Londra. Le decisioni di politica monetaria (e soprattutto gli scopi per cui queste vengono attuate), ha aggiunto, non vengono applicate in maniera omogenea in tutti gli stati. “E questo penalizza i paesi periferici, dove ce n’è più bisogno”. Il riferimento, nemmeno troppo velato e alle banche di alcuni stati che, nonostante gli incentivi dati da Francoforte, hanno difficoltà ad aprire il rubinetto del credito.

Banche e imprese, rapporti difficili
Migliora, però (anche se di poco), la situazione in cui operano le imprese della regione. Secondo un sondaggio della Banca centrale fra le piccole e medie aziende, la percentuale netta delle Pmi che hanno constatato un peggioramento della disponibilità di prestiti bancari è scesa a -10% dal -22% della precedente inchiesta. Le Pmi italiane sono tra le aziende che hanno segnalato il cambiamento per il meglio più accentuato (da -27% a -7%). Un andamento che riflette - secondo la Bce - il miglioramento della fiducia nei mercati finanziari negli ultimi mesi e delle condizioni di provvista delle banche, a cui hanno contribuito le misure non standard della Bce, incluso l’annuncio delle Omt.

Tra i fattori che pesano ancora sull’accesso al credito, le Pmi della zona euro citano in primis il peggioramento delle prospettive economiche. La situazione peggiore, soprattutto per quanto riguarda le condizioni dei prestiti si registrano in Grecia, Spagna e Italia. Anche se aumentano, ad esempio, le risposte favorevoli alle richieste di prestito, la percentuale netta delle Pmi italiane che riferiscono un aumento dei tassi di interesse praticati dalle banche è del 62%, seconda solo alla Spagna (66%). Il 44% inoltre segnala un aumento delle garanzie contro il 15% delle Pmi tedesche. Uno scenario che accomuna ancora una volta la periferia sud dell’Europa e indica una forte avversione al rischio da parte delle banche in un contesto di debole attività economica e di difficoltà del sistema finanziario.
enere l’aumento degli spread governativi.

martedì 16 aprile 2013

Draghi: «È grave che le banche non prestino a tassi ragionevoli»

Manca competitività. Questa è la base della crisi d'Europa. Così sostiene Mario Draghi secondo quanto riporta il Corriere della Sera.

«Se le banche in alcuni Paesi non prestano a tassi ragionevoli, le conseguenze per l'Eurozona sono gravi». Lo ha detto Mario Draghi, presidente della Bce, durante un intervento all'Università di Amsterdam. Secondo Draghi «È particolarmente sconcertante» che le piccole e medie imprese soffrano più delle grandi aziende, «dato che fanno i tre quarti dell'occupazione». La Bce «non può e non vuole sovvenzionare banche insolventi», ha aggiunto Draghi spiegando che il sostegno in liquidità accordato alle controparti bancarie «non è e non dovrebbe essere un sostegno di capitale». Allo stesso modo, ha detto, nel contrastare i rischi di ridenominazione sui titoli di Stato «non possiamo e non vogliamo sovvenzionare i Governi» dell'Eurozona. Del resto, ha continuato il presidente della Bce, «avviare le riforme strutturali, il risanamento dei conti pubblici e rimettere in ordine i bilanci delle banche non è fra le responsabilità nè nel mandato della politica monetaria».

«ANCORA GROSSI PROBLEMI» - Anche se ci sono miglioramenti rispetto al picco della crisi in Europa «nondimeno, all'orizzonte congiunturale dell'Eurozona si stagliano ancora gros

LA PECULIARITA' DELL'EUROZONA - Il numero uno dell'Eurotower ha spiegato anche che, «a differenza di Paesi con una vera e propria struttura federale o con un'unica autorità di bilancio, l'eurozona è composta da diversi Paesi sovrani». E quindi «il debito di ognuno di questi ha caratteristiche diverse per quanto riguarda la liquidità e il profilo di rischio». Pertanto, conclude Draghi, «non c'è una misura univoca per definire il premio di rischio nell'area euro».

PERDITA DI COMPETITIVITA' - Alla radice della crisi europea c'è, ha dichiarato anche Draghi, il fatto che «gran parte dei Paesi sotto stress soffrono di una perdita di competitività cronica».
si problemi». La maggior parte delle economie dell'Eurozona che si trovano ora sotto stress, ha ricordato Draghi, «e sicuramente tutte quelle che ora stanno avendo le maggiori difficoltà all'aggiustamento, hanno registrato una cronica perdita di competitività dopo essere entrati a far parte dell'unione monetaria». L'erosione della competitività «ha comportato l'emergere di ampi deficit delle partite correnti e, per alcune, l'accumulo di consistenti posisizioni debitorie con l'estero». In alcuni casi, ha continuato Draghi, «l'aumento del debito estero è stato trainato dal maggior indebitamento del settore pubblico».

mercoledì 10 marzo 2010

Cesare Geronzi, Antoine Bernheim o Mario Draghi? Le ultime news su Generali

Le ultime notizie da La Stampa sulla "questione Generali":
"Generali si mantiene in territorio positivo in controntendenza a mercati ancora intonati negativamente: l'azione passa di mano a 17,55 euro con un rialzo dello 0,34 per cento. Durante la seduta di oggi il titolo ha anche toccato un massimo a quota 17,62. Continuano le incertezze sulla presidenza del gruppo in scadenza, la mancanza di un accordo tra gli azionisti sul nome di Cesare Geronzi sembra riproporre, secondo indiscrezioni di stampa, l'attuale presidente Antoine Bernheim. Il quotidiano britannico ha lanciato la candidatura di Mario Draghi al vertice della compagnia assicurativa, di certo l'equilibrio fra azionariato italiano e francese di Generali e della sua maggiore azionista Mediobanca appare sotto pressione".

martedì 2 marzo 2010

I banchieri temono la patrimonializzazione

Mario Draghi, il governatore della Banca d'Italia, ha fatto sapere che l'introduzione di parametri più stringenti di Basilea 3 sarà graduale.
I banchieri italiani stanno infatti manifestando timori verso un'ulteriore patrimonializzazione delle banche, che porterebbero effetti negativi sulla ripresa economica per il 2010, nonché sulla remunerazione degli azionisti. A paventare questi problemi sono soprattutto quelle banche che hanno tra i propri soci Fondazioni bancarie. Queste infatti, dopo un anno di dividendi minimi, se non nulli, reclamano cedole più robuste.
(fonte: http://bancheebanchieri.blogspot.com)

venerdì 24 luglio 2009

Crisi: la criminalità organizzata ne approfitta

“Avremo bisogno di più infrastrutture, di più capitale umano e sociale” è l’opinione di Mario Draghi, che, , durante un’audizione nella Commissione parlamentare d’inchiesta sulla Mafia, ha ricordato anche come fra gli ostacoli che frenano il tasso di crescita vi siano organizzazioni criminali. In questo momento storico in cui tutti stanno soffrendo la crisi economica, la criminalità organizzata è infatti l’unica che ne sta approfittando attraverso l’esercizio dell’usura. "Per questo l’azione di contrasto deve farsi ancora più attenta e decisa"

martedì 30 giugno 2009

Draghi lancia l’allarme sulle condizioni dell’economia italiana

Il governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, intervenuto a L’Aquila alla presentazione del rapporto sull’economia abruzzese, ha lanciato l’allarme sulle condizioni dell’economia italiana.

"Il Pil in Italia, se non succede niente, se non continua a cadere, alla fine dell’anno sarà sceso del 5 %".
La ripresa ci sarà solo e si verificheranno "la tenuta dei consumi e possibilmente la tenuta del mercato del lavoro o comunque la capacità di spesa anche in presenza di una crescita della disoccupazione".
"In sostanza i comportamenti degli individui, delle imprese e dei consumatori da un lato e delle politiche economiche che nei prossimi mesi verranno adottate dall’altro, saranno le condizioni per il superamento della crisi. Condizione principale è, comunque, la tenuta dei consumi", mentre, per aumentare la crescita sul lungo periodo, "servono riforme strutturali, in modo da superare la crescita piatta che dura da 15 anni".

Secondo Draghi, inoltre "è molto presto per mettere in atto strategia di uscita dalla crisi", anche perchè "il sistema bancario non è stato ancora riparato e il credito non è ancora tornato ad affluire all’economia".
Attuare ora le cosidette exit strategy "non avrebbero nessuna credibilità, però è importante cominciare a disegnarle. Nel medio periodo occorre chiedersi come usciremo da questa condizione di politiche monetarie e fiscali straordinariamente espansive. Io non credo che i governi abbiano intenzione di tenersi per sempre le azioni delle banche e di nazionalizzarle. Nessuno ha in mente un obiettivo di questo tipo. I mercati e la gente guardano a questi punti e certamente vogliono sapere come faremo per uscire da questa situazione di espansione monetaria e di bilancio".

"Per noi l’obiettivo più importante in questa situazione è chiederci come ne usciremo. Con una crescita simile a quella con cui siamo entrati nella crisi, cioè zero? Oppure più elevata?"

mercoledì 17 giugno 2009

Crisi: il peggio deve ancora arrivare

Quando la crisi economica ha iniziato a prendere piede negli Usa a causa della depressione dei subprime, quando tutti i sistemi bancari del mondo hanno iniziato a vacillare, il governatore della Banca di Italia, Mario Draghi, prima, e il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, poi, avevano più volte ribadito che le banche italiane erano solide abbastanza da soffrire la crisi ma non risentirne particolarmente.
Ed effettivamente, pochi giorni fa l’R&S di Mediobanca (il gruppo presieduto da Cesare Geronzi) ha confermato che le banche italiane sono più solide di tutte le altre. Nonostante la crisi finanziaria abbia messo in ginocchio sistemi e colossi economici, alcuni piccoli grandi, come Unicredit e Intesa Sanpaolo, ce l’hanno fatta. Ma le previsioni non sono certo rosee.
Così se alcuni esperti sono ottimisti e tornano a parlare di ripresa entro il 2010, altri, fra cui il capoeconomista della Banca Europea di ricostruzione e di sviluppo (Bers), Erik Berglof, ritengono che il peggio della recessione debba ancora arrivare. Ed in particolare l'allarme sarebbe scattato per le banche.
Berglof spiega: "Sembra che non sappiamo sempre ciò che c'è nel nostro sistema bancario e c'è bisogno di scoprirlo ma anche di renderlo pubblico come hanno fatto gli Usa con gli stress test. Non abbiamo ancora visto tutto, il peggio non è alle spalle”.
La Bce nel suo ultimo Rapporto sulla stabilità finanziaria dice, infatti, che le banche dell'Eurozona vanno incontro a nuove svalutazioni su titoli tossici e su prestiti in sofferenza per 283 miliardi di dollari tra il 2009 e il 2010 come effetto della crisi finanziaria globale. I rischi, dunque, per la stabilità finanziaria dell'Eurozona restano elevati e il ciclo del credito non ha ancora toccato il suo punto minimo.
(fonte: Marianna Quatraro – business online.it)

martedì 9 giugno 2009

Regole e vigilanza: il progetto Ecofin

Oggi, a risultati elettorali ancora caldi, l'Ecofin si riunirà a Bruxelles per approvare un documento di primo livello per l'exit strategy dalla crisi finanziaria, nonché per la più ampia governance istituzionale della Ue
Riporto un articolo a questo proposito letto ieri su Il Sussidiario:

"I ministri economici sono chiamati a formalizzare il progetto di attivazione di nuove strutture di vigilanza finanziaria e bancaria sovrannazionale. Le grandi linee del disegno - che discende dagli studi della commissione De Larosière - sono note. Un nuovo “consiglio europeo dei rischi sistemici” (Esrc) comincerà a svolgere una supervisione macroprudenziale sulle cosiddette “istituzioni sistemiche”: anzitutto, in concreto, le grandi banche che - come ha dimostrato la crisi globale - possono mettere in pericolo con i propri squilibri la stabilità dell'intero sistema. Un “sistema europeo dei supervisori finanziari” (Esfs) è invece incaricato di coordinare e omogeneizzare la vigilanza e le authority nazionali su banche, assicurazioni e Borse, cui resterebbe la vigilanza microprudenziale (cioè sui soggetti a rilievo nazionale).

I consigli sarebbero, nell'ipotesi pre-approvata a fine maggio, formati dai capi-authority dei 27. Per le banche è prevista una complementarietà tra governatori dell'Eurozona (E-16) e quelli della più ampia Unione a 27. È, per ora, lasciata aperta l'opzione di attribuire successivamente la vigilanza sovrannazionale alla Bce, la quale, comunque, è già una tecnostruttura funzionante a livello crossborder. Nel pacchetto è inclusa anche una regolamentazione più vincolante per gli hedge fund: gli intermediari con minor trasparenza e maggior propensione al rischio, veri volani della crisi assieme alla finanza derivata stipata in "veicoli" a loro volta spesso invisibili per mercati e supervisori.

È nota l'opposizione della Gran Bretagna (tra l'altro l'unico "Grande" della Ue a non aderire all'euro). La resistenza è ovviamente guidata dalla City londinese che - per quanto semidistrutta dal collasso dei mercati - vuol mantenere il suo status sostanzialmente "apolide", senza fare i conti con i banchieri centrali del continente: in particolare quelli di Francia e Germania, oltre alla Bce e presidenza francese.

A due mesi dal G-20 di Londra, il contrasto tra le due sponde dell'Atlantico, non è stato ricomposto, anzi. La cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente francese Nicolas Sarkozy erano stati fermi verso il presidente americano Obama e il padrona di casa, il premier britannico Gordon Brown. La priorità era (e resta) la ricostruzione rapida delle regole su scala internazionale, dopo i gravissimi danni portati (soprattutto dalle banche d'affari di Wall Street) al sistema finanziario globale, in particolare alle grandi banche europee: orientate non solo ai mercati ma anche al credito all'impresa e alla gestione del risparmio delle famiglie.

Negli Stati Uniti - com'è noto - le grandi banche salvate con maxi-aiuti pubblici alla fine del 2008, stanno già premendo per la loro restituzione, in modo da tornare al più presto al "business as usual", archiviando i crack da subprime come un incidente di percorso della finanza globale. Questo forcing (che l'amministrazione Obama e la Fed stanno fronteggiando in modo elastico) trova un’ovvia sponda a Londra, altro pilastro della finanza anglosassone.

È questo "fronte di turbolenza" che rischia di far precipitare nel canale della Manica (se non in mezzo all'Atlantico) la nuova vigilanza Ue in fase di decollo. Proprio le elezioni europee, tuttavia, potrebbero pesare sulla bilancia. Da un lato una vittoria netta delle forze moderate (quelle che hanno come riferimento il Ppe) rafforzerebbe la fermezza "centro-continentale" sulle regole: e non è un caso che - già nei panni di "incoming president" del parlamento di Strasburgo - l'italiano Mario Mauro abbia lanciato un significativo attacco all'Antitrust Ue, finora marcatamente liberista.

Difendendo le agevolazioni fiscali al credito cooperativo (non solo italiano), Mauro ha dato un'indicazione politica chiara: l'Europa sente più fortemente l'esigenza di un sistema bancario meno speculativo e rischioso e più sano, regolato, orientato al servizio di famiglie, imprese e società civile. Non va d'altronde trascurata la singolare situazione politica britannica: il premier Gordon Brown è stato sfiduciato da sei suoi ministri. Resiste, ma in condizioni di estrema debolezza interna e quindi anche internazionale.

La posizione dell'Italia, nel frattempo, non è univoca. Anche se non più in presenza di tensioni aperte con il ministro dell'Economia Giulio Tremonti, il Governatore dalla Banca d'Italia, Mario Draghi è stato abbastanza chiaro nelle sue Considerazioni finali del 29 maggio: per lui il cantiere vero della nuova supervisione finanziaria globale è il Financial Stability Board, da lui stesso presieduto. Il Board erede strutturato del precedente Forum, secondo Draghi, ha ricevuto un mandato chiaro dal G-20 all'interno di un'exit strategy pilotata dal Fondo monetario internazionale (di cui, com'è noto, gli Stati Uniti hanno poteri dominanti nella nomina dei vertici).

In particolare, ha detto Draghi, l'Fsb ha poteri di coordinamento su tutti i «collegi di supervisori» che si dovessero formare nel dopo-crisi: dunque, par di capire, anche i nuovi "consigli europei" (di cui Draghi del resto dovrebbe far parte in quanto Governatore italiano) troverebbero già sopra le loro teste un ulteriore “organismo”. Tremonti, d'altronde, continua a essere fautore di una forte e veloce ri-regolazione europea dei mercati finanziari all'interno della sua visione critica dell'attività bancaria troppo proiettata sui mercati".
(Gianni Credit)

lunedì 8 giugno 2009

Cesare Geronzi: la crisi USA non è finita

"La finanza e l'economia mondiale sono ancora in crisi e non è dato saper quando finirà. Ne è convinto il presidente del Consiglio di sorveglianza di Mediobanca, Cesare Geronzi, per il quale "chi vive il mercato sa cosa è iniziato e non ancora finito", avremo altre "ripercussioni" per la crisi esplosa negli Stati Uniti che, "certamente, non è finita".
Indebitamenti "molto consistenti", mancanza di certezze sono alcune delle cause ma, "per fortuna", la crisi stessa ha mosso "il monolite che di solito è sordo alle richieste dei consumatori". Più positivo Cesare Geronzi è sul sistema bancario italiano che "ha tenuto botta", ha detto, perché nonostante l'immagine di arretratezza, "che ne viene data sui giornali", è un sistema "riorganizzato e ristrutturato; un pilastro sul quale il Paese può contare per lo sviluppo".
Durante un incontro organizzato dall'Osservatorio Giovani-editori, Cesare Geronzi ha riconosciuto alcuni errori fatti dal sistema bancario che “non ha saputo comunicare” e “non ha meditato sui danni reputazionali derivanti dal malessere dei consumatori”, ma dopo l'accordo sui mutui, “tutti ora hanno qualcosa in più da spendere”. Infine un plauso al “sistema delle banche centrali”, che hanno evitato “il disastro”, e parole positive sul Governatore Mario Draghi che sabato “ha presentato tutti i problemi" mantenendosi, “giustamente, distaccato” senza prendere "partito"." (ANSA).

giovedì 4 giugno 2009

Come ridare fiato a economia e imprese

"Dopo aver vissuto l’annus horribilis della finanza mondiale, portatore di una crisi economica globale senza precedenti, i cui esiti sono ancora parzialmente ignoti per la durata e per le dimensioni, le Considerazioni del Governatore giungono particolarmente attese. Non ci si aspettava, ovviamente, una ricetta salvifica, date le implicazioni di politica internazionale che quelle misure necessariamente comportano, ma una chiara e circostanziata diagnosi delle cause e delle conseguenze della crisi in atto ed alcune indicazioni sui possibili sviluppi della nostra politica economica e creditizia e, dunque, della nostra economia.
Le cause della crisi sono oramai chiaramente individuate: a) gli squilibri strutturali di natura macroeconomica (a partire dal deficit commerciale Usa, cui si contrappone l’avanzo finanziario, principalmente, della Cina, in presenza di un tasso di risparmio negativo); b) le innovazioni finanziarie quasi prive di valore per la collettività (i reiterati processi di securitisation che hanno generato, accanto allo shadow banking system, montagne di titoli e derivati sempre più opachi sotto il profilo della rischiosità e dei prezzi); c) le deficienze regolamentari sui requisiti patrimoniali e sulle riserve di liquidità delle banche; il tutto condito da una cieca fiducia sia nella razionalità ed efficienza del mercato sia nella sua capacità di autoregolarsi. Queste ultime considerazioni evidenziano, peraltro, la necessità di una forte revisione dell’impianto teorico che ha fin qui improntato la regolamentazione dei sistemi finanziari: dalla teoria dell’efficienza del mercato (significatività dei prezzi) ai modelli matematici per la misurazione e la gestione dei rischi; dalla pratica della securitisation senza limiti alla “fede” nella disciplina del mercato.
Sarà compito del Financial Stability Board (revisione del Financil Stabilty Forum), appena costituito e presieduto dallo stesso Draghi, accompagnare tutte le Autorità nazionali dei diversi Paesi nella fissazione di requisiti di capitalizzazione e di liquidità più rigorosi; nell’estensione della regolamentazione allo shadow system;nel completamento di Basilea 2 e dei principi contabili per ridurre gli effetti della prociclicità (che attraverso i requisiti di capitale aggravano le restrizioni creditizie o esaltano le fasi di espansione); nella più rigorosa vigilanza sulle istituzioni in grado di generare rischi sistemici (macro-prudential analisys - per prevenire casi come quello del fallimento di Lehman Brothers)."
(Rocco Corigliano - Il Sussidiario)

mercoledì 3 giugno 2009

Ecco perché le banche italiane si sono salvate dai titoli tossici

Le banche italiane sono riuscite a evitare di caricarsi di titoli tossici anche perché nel sistema non c'era la “predisposizione a investire in cose che non conoscevano”. È quanto ah dichiarato Mario Draghi, il governatore della Banca d'Italia, nel corso di un convegno sull'economia sociale di mercato tenuto a Berlino.

Draghi ha spiegato che le banche italiane non hanno acquistato grandi quantità di titoli tossici, come hanno fatto invece istituti di credito di altri Paesi, per una combinazione di fattori: “Prima di tutto il sistema bancario italiano negli ultimi tre anni ha attraversato grandi fusioni. Direi che quasi il 70 % del mercato, in termini di attività o passività totali, si è fuso in due banche. Questo aveva portato a notevoli ‘due diligence’ nel sistema, ripulendo numerose delle posizioni precedenti. Inoltre c'è stato un ricambio di molti manager. Ma c'è anche una ragione strutturale. Le banche italiane non hanno mai fatto affidamento sulla finanza all'ingrosso: in media, il 70% dei finanziamenti, con una proporzione molto più alta per le banche di medie dimensioni, è formato semplicemente da depositi al dettaglio e, in generale, dal mercato al dettaglio. Quindi le banche (italiane) emettono obbligazioni, ma ai loro risparmiatori. Sul lato degli asset, poi, gran parte dell'attività è fatta da prestiti di piccole e medie dimensioni. Quindi, in un certo senso, non c'era una predisposizione a investire in cose che non conoscevano. Le banche erano, in media, profittevoli, non avevano veramente bisogno di cercare profitti più alti altrove”.

“Ma c'è anche una ragione storica: negli anni Settanta alcune banche, quelle buone, avevano provato avventure negli Stati Uniti, ma per varie ragioni c'è stato un bagno di sangue e quindi c'era una certa riluttanza a espandersi in quel mercato. Questo, naturalmente, ha avuto una conseguenza importante poiché, non avendo clienti americani, non hanno dovuto rispondere agli alti tassi di rendimento che quel tipo di risparmi davano negli Usa. Infine le attività di asset management, che erano un altro canale che ha portato a questi profitti, erano e sono ancora, sfortunatamente, altamente frammentate e molto domestiche”.

venerdì 29 maggio 2009

Considerazioni di crisi per Mario Draghi

"Un anno fa, all’assemblea della Banca d’Italia, Mario Draghi parlava di "turbolenza finanziaria" con ripercussioni sulle economie dei Paesi avanzati, soprattutto negli Stati Uniti. Aggiungeva che "i maggiori rischi per l’economia mondiale vengono dall’accumularsi di tensioni inflazionistiche" (il barile di petrolio si avviava verso i 140 dollari al barile). "È presto - sosteneva il governatore - per valutare pienamente le conseguenze della crisi sull’economia reale".
Dodici mesi più tardi, la turbolenza è diventata crisi e Draghi deve confrontarsi con la peggior recessione del Dopoguerra, che fra l’altro ha fatto cadere i prezzi del greggio. A metà settembre il crac della Lehman ha fatto tremare il mondo, e il Fondo monetario internazionale ha valutato in 4.000 miliardi di dollari l’ammontare degli asset tossici accumulati nelle banche e nelle altre istituzioni finanziarie. Da mesi la Bce fornisce "liquidità illimitata" alle banche e i tassi europei sono scesi all’1%, limite che potrebbe essere anche superato. I disoccupati in Europa potrebbero aumentare di sei milioni di unità. Le banche italiane, assai meno colpite di altre dalla crisi, hanno comunque dovuto, in diversi casi, far ricorso ai "Tremonti bond".
Tutto, rispetto a dodici mesi fa, s’è complicato. Le odierne considerazioni finali di Mario Draghi possono essere a giusto titolo definite come le sue prime "considerazioni di crisi". Sapremo solo oggi se egli veda davvero quei barlumi di ripresa che qualcuno scorge in mezzo all’oscurità. Essendo presidente del Financial Stability Board, non potrà non parlare delle nuove regole per la finanza internazionale. Farà probabilmente cenno anche a riforme da mettere in cantiere in Italia, dagli ammortizzatori sociali di tipo universale - per limitare al massimo le ripercussioni della crisi - fino a un progressivo aumento dell’età per la pensione."
(Fonte Il Giornale, Gian Battista Bozzo)