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domenica 26 ottobre 2014

Crisi economica? E il negozio diventa casa.

Con la crisi economica, si sta verificando un fatto curioso: molti negozi stanno diventando abitazioni.
Il fenomeno, in aumento nelle grandi città, è stato osservato e segnalato da Immobiliare.it. Grazie a un prezzo fino al 35% inferiore rispetto a quello di un appartamento tradizionale, gli esercizi commerciali diventano una soluzione abitativa che fa gola a chi non ha molto denaro da spendere.
Anche se questo tipo di soluzione, lo ricordo, nel nostro Paese non è consentito.
Nelle aree metropolitane di Roma, Milano e Torino l’offerta complessiva nel 2014 sarebbe di 5200 spazi di questo tipo. E le zone dove si ricorre più volentieri a questa soluzione sono quelle centrali. Diverse le cause alla base di questo fenomeno, secondo Carlo Giordano, ad di Immobiliare.it. "In molti casi non si verifica il passaggio generazionale dei proprietari degli esercizi commerciali nella gestione dell’attività. Perciò i negozi, sempre più spesso, rimangono vuoti a lungo. Quindi il proprietario non percepisce un utile da quello spazio, ma gli restano costi di mantenimento e tasse". Dopo un po’ quindi si cambia destinazione.
Per andare incontro alle esigenze degli abitanti, in futuro si potrebbe anche andare verso una trasformazione legislativa che acconsenta a formule di utilizzo degli spazi analoghe al Nord Europa. Questo rappresenterebbe anche una soluzione al problema della chiusura degli spazi commerciali che causa una sensazione di abbandono e di mancanza di sicurezza nelle strade e la perdita di accessibilità ai servizi di prossimità per le fasce più de
boli della popolazione. (fonte La Stampa)

giovedì 2 ottobre 2014

La crisi economica ha svuotato le culle

Uno degli effetti della crisi economica è anche il crollo delle nascite.
In un solo anno, dal 2012 al 2013, inuovi nati sono stati circa 24.000 in meno - scrive La Stampa. E con una media di 8,5 nati per 1.000 abitanti, il nostro Paese ha raggiunto il fondo della classifica europea per il numero di nuovi nati.

È quello che emerge dagli ultimi dati presentati da Censis e Fondazione Ibsa.

I dati non lasciano dubbi: dall’inizio della crisi, l’Italia ha “perso” oltre 62mila nuovi nati l’anno, con i motivi economici che, almeno nella percezione degli italiani, sono la causa principale del fenomeno. Secondo il rapporto “Diventare genitori oggi”, realizzato da Censis e fondazione Ibsa, si è passati dai quasi nuovi nati del 2008 ai poco più di 514mila del 2013, il valore più basso da quando si fanno le rilevazioni. L’indagine punta il dito anche sull’insufficienza delle politiche pubbliche a sostegno della famiglia: il 61% degli italiani è convinto che le coppie sarebbero più propense ad avere figli se migliorassero gli interventi pubblici. Ma se la crisi pesa molto, anche l’infertilità spiega l’attuale vuoto delle culle. Eppure, più di metà degli italiani non conosce i problemi legati all’infertilità, mentre per chi deve affrontare queste patologie la difficoltà principale resta di tipo economico.

mercoledì 6 agosto 2014

Istat: il pil è negativo, -0,2%. Ed è il secondo trimestre consecutivo.

"I dati dell'Istat più chiari di così non potrebbero essere - scrive oggi Panorama -  il prodotto interno lordo nel secondo trimestre è negativo dello 0,2%. È il secondo trimestre consecutivo con il segno meno dopo che tra gennaio e marzo la (de)crescita era stata pari a -0,1%. L'economia italiana non cresce. Anzi soffre terribilmente. È in recessione tecnica, come si dice in questi casi.
La situazione è pesante: secondo Istat, con la flessione registrata nel secondo trimestre dell'anno, il pil italiano è tornato, in termini reali, ai valori del secondo trimestre del 2000"

Il calo congiunturale - sottolinea l'Istituto - è la sintesi di una diminuzione del valore aggiunto in tutti e tre i grandi comparti di attività economica: agricoltura, industria e servizi. Nulla si salva. E, dato ancora più grave, la sofferenza risente dell'indebolimento della domanda dall'estero.
L'unico segnale positivo è nel breve periodo e viene dalla produzione industriale che a giugno rispetto a maggio ha segnato un +0,9% mentre rispetto a un anno fa la crescita è dello 0,4%. Ma su base trimestrale, anche in questo caso, le note sono dolenti: -0,4% rispetto al trimestre precedente quando aveva segnato un +0,1%.

venerdì 13 giugno 2014

«Anche in Italia le cose cambieranno»

Stavo leggendo il Sole 24 Ore e ho pensato: cambieranno veramente le cose in Italia?

Siamo terzultimi nell'economia positiva - è emerso ieri al forum di San Patrignano - e se il futuro è lì, come sostiene Jacques Attali, la strada della risalita sarà lunga.
La positività di un'economia si misura tenendo presenti altri indicatori oltre al Pil. Per l'indice di un Paese, la Commissione Attali ha considerato 29 indicatori tra cui la natalità, le infrastrutture, la stabilità politica ma anche la qualità della gestione delle risorse idriche, il grado di responsabilità sociale delle imprese presenti sul territorio. Si misurano anche le questioni ambientali, il tasso di partecipazione elettorale, la fiducia interpersonale.
Gli indicatori in sostanza fotografano il principio di altruismo razionale, principio fondamentale dell'economia positiva: «L'economia positiva è soprattutto guardare al lungo termine - commenta Jacques Attali - Si è sempre vissuto nel carpe diem e non c'è nulla di più distruttivo». «La posizione dell'Italia mi ha deluso - ha commentato Attali - ma sono certo che già dal prossimo anno le cose cambieranno». E la comunità di San Patrignano resta un modello esemplare di come concepire l'economia positiva.
In vetta alla classifica dei Paesi Ocse ci sono gli Stati del Nord Europa: Danimarca, Norvegia, Svezia. Gli Stati Uniti al 12° posto sono una sorpresa al contrario. Sebbene siano avanti nella responsabilità sociale delle imprese, dall'altro accusano un alto livello di disuguaglianza. La Germania è 13esima nonostante l'alto livello di competitività della sua economia e segna il passo rispetto al valore della condivisione nei suoi indicatori.

giovedì 17 aprile 2014

Banche: Bankitalia, possibile inversione di rotta su qualita' credito

Come ci dice Borsa Italiana, la qualità del credito in Italia è in via di miglioramento.
Leggete il breve articolo di seguito:

Sulla qualità del credito in Italia "si riscontrano segnali positivi che sembrano prefigurare una inversione di tendenza" afferma il capo della Vigilanza della Banca d'Italia Carmelo Barbagallo in un intervento. Il tasso di ingresso in sofferenza dei prestiti alle imprese, in crescita ininterrotta dal terzo trimestre del 2011, "sta ora diminuendo". La situazione, secondo l'esponente di Banca d'Italia, è sempre difficile con rettifiche sui prestiti che negli ultimi due anni sono aumentate a "oltre 60 miliardi". Barbagallo osserva che "la natura banco-centrica del nostro sistema finanziario fa da freno all'economia" e sottolinea come siano importanti, per la ripresa del credito, le cartolarizzazioni. Strumento da rilanciare anche con misure legislative "volte a rendere piu' robusto il regime normativo a tutela degli investitori" e a semplificarne la realizzazione.

venerdì 14 marzo 2014

Draghi: pronti ad agire contro il super euro. La moneta unica cala a 1,38

Leggevo l''articolo seguente sul Sole 24 Ore e ho pensato potessere essere interessante condividerlo.

La forza dell'euro sta diventando «sempre più rilevante» sulle decisioni della Bce e il presidente Mario Draghi ha riaffermato che l'istituzione «sarà pronta ad agire con misure decisive, se necessario». Una presa di posizione che conferma il crescente disagio dell'istituzione per l'accelerazione dei rialzi dell'euro, seguito all'assenza di misure espansive, la scorsa settimana, proprio dall'Eurotower. Disagio che negli ultimi giorni è stato manifestato da vari esponenti del Consiglio direttivo.

Ultimo, oggi, perfino l'arcifalco Jens Weidmann, governatore della Bundesbank, che facendo eco ad alcuni suoi colleghi aveva affermato che ulteriori apprezzamenti dell'euro potrebbero spingere la Bce ad ammorbidire la sua linea. Il tutto mentre la valuta condivisa è risalita sopra la soglia di 1,39 dollari, come venerdì scorso, sui massimi dall'ottobre 2011 e con un picco di seduta a 1,3965. La forza dell'euro rischia di frenare la ripresa economica, rendendo meno competitivo l'export verso i paesi extra Unione, e di deprimere ulteriormente una inflazione ritenuta già troppo bassa dalla Bce.

Nel suo intervento alla cerimonia di conferimento del premio in ricordo dell'economista Joseph Schumpeter, a Vienna, Draghi ha ricordato che l'istituzione si è impegnata a tenere i tassi di interesse ai livelli attuali, o più bassi a lungo. E ha affermato che se l'economia procederà come previsto su una progressiva ripresa, mentre l'inflazione risalirà lentamente dallo 0,8% attuale a livelli più vicini al 2%, da questa linea morbida risulterà un «abbassamento dei tassi di interesse reali». Si tratta del livello dei tassi di riferimento ufficiali al netto dell'inflazione. Inoltre «il differenziale reale dei tassi tra l'area euro e il resto de mondo probabilmente si ridurrà, creando pressioni ribassiste sui cambi» dell'euro, ha aggiunto il capo della Bce.

Draghi ha poi rilevato che comunque al momento i rischi di deflazione sono «piuttosto limitati» (usando una terminologia forse più morbida anche in questo caso rispetto alle ultime settimane). E che più a lungo durerà la bassa inflazione maggiori saranno i rischi. Ha infine precisato cosa potrebbe innescare un intervento della Bce: se si dovessero evidenziare attese generalizzate del pubblico su futuri cali dei prezzi.

Dopo la chiusura di Wall Street l'euro viene scambiato a 1,3869 dollari, in calo proprio grazie alle parole di Draghi.


martedì 19 novembre 2013

Una terra di risparmiatori. Cresce il “tesoro” in banca

Secondo quanto ci dice la Repubblica, i piemontesi sono colori i quali maggiormente riescono a risparmiare anche in tempi di crisi.

Torino - Il Piemonte non è terra per cicale. Nonostante la crisi, che colpisce al cuore le imprese e fa impennare il numero dei disoccupati, nonostante il calo nei consumi che fa disperare commercianti e esercenti, il “tesoretto” in banca è sempre più cospicuo. Da brave formichine i piemontesi riescono a risparmiare anche in tempi di recessione. A giugno la Banca d'Italia ha contato 128,2 miliardi che le famiglie e le imprese piemontesi hanno dato in custodia agli istituti, ossia il 2,7 per cento in più rispetto allo stesso periodo del 2012. Sul conto. Nel totale dell’indagine di Bankitalia figurano 87 miliardi in 'depositi', più della metà dei quali parcheggiati sui conti correnti (52 miliardi, più 4 per cento su giugno 2012). Un terzo dei soldi (35 miliardi per la precisione, quasi un dieci per cento in più rispetto a dodici mesi prima) sono versati su depositi di risparmio, dunque vincolati rispetto a quelli dei conti correnti. Ma ci sono anche 41 miliardi investiti in obbligazioni bancarie: una cifra in leggero calo rispetto a un anno fa (meno 1,7 per cento) ma comunque sempre di un certo impatto.

Il portafoglio:

Nei primi sei mesi dell'anno è aumentato anche il valore dei titoli posseduti dalle famiglie e dalle imprese: 80 miliardi in tutto, cresciuti del 5,2 per cento rispetto a metà 2012. Se si guarda alla sola clientela retail, escludendo quindi le aziende, si nota come i piemontesi abbiano un buon feeling con i titoli di Stato. Bot, Cct, Btp piacciono sempre a Cuneo come a Novara, a Asti come a Biella. Complessivamente la ricchezza dei piemontesi investita negli strumenti offerti dallo Stato tocca quota 24 miliardi, con una crescita dello 0,5 per cento rispetto al giugno di dodici mesi fa. Ma è tornata anche un po' di passione per le azioni. Su Piazza Affari e altre borse internazionali sono impegnati 7,5 miliardi. Poco meno di un terzo rispetto a quanto è destinato ai titoli di Stato ma in questo caso colpisce di più la performance rispetto all’anno precedente: il 6,8 per cento in più. Insomma la Borsa torna a sedurre, complice anche il trading online che pure in Piemonte raccoglie un numero sempre maggiore di clienti. Però il vero “boom” è quello registrato dagli “organismi collettivi di risparmio”, cioè fondi comuni e Sicav. Insomma, forse scottati da precedenti esperienze non proprio confortanti e frenati da un andamento dei mercati borsistici spesso altalenante, la maggior parte dei piemontesi disposta a rischiare qualcosa pur di avere interessi un po’ più ignificativi di quelli offerti dai titoli di Stato, hanno puntato sui fondi comuni, nelle loro diverse declinazioni. Alla fine ne è uscito un capitale che di poco sorpassa quello investito nei titoli del Tesoro: 24,7 miliardi, una cifra lievitata del 25,9 per cento. Male invece le obbligazioni: hanno registrato una flessione del 18,9 per cento rispetto alla penultima indagine della Banca d’Italia.

Il credito:

In flessione ma sostanzialmente stabile rispetto a un anno fa l’importo dei prestiti (sia delle banche, sia delle società finanziarie) è diminuito dello 0,3 per cento, come dodici mesi fa. L’andamento negativo si spiega con l’ulteriore calo dei prestiti per l’acquisto di abitazioni, scesi dell’1,1 per cento. Per contro, il credito al consumo è cresciuto dello 0,7 per cento, merito soprattutto delle società finanziarie brave a intercettare clienti anche della banche (performance negativa per queste ultime). Ai piemontesi piacciono sempre molto i titoli di Stato anche se nell’ultimo anno sono stati scavalcati dai fondi comuni.

martedì 15 ottobre 2013

Bond: Blackrock, torneremo a investire su Italia se spread si allarga


Se lo spread si allargherà, ci spiega il Corriere della Sera, si tornerà ad investire sull'Italia.

Blackrock sul mercato obbligazionario e' "neutrale su Italia e Spagna", mentre preferisce Irlanda, Portogallo e Slovenia e complessivamente e' "positivo sulla periferia dell'Eurozona". Cosi' ha spiegato, nel corso di una conferenza stampa a Milano, Andrea Vigano', country head Blackrock Italia. "La visione di fondo di Blackrock sull' Italia e' sempre stata molto positiva, ora e' meno attraente visto il restringimento dello spread, anche se la visione di fondo resta comunque positiva. Le valutazione sono piu' o meno corrette. Se lo spread si allargherà torneremo a investire", ha precisato Vigano' spiegando che l'Italia e' un "paese patrimonialmente piu' solido" a livello complessivo di debito, risparmio famiglie, banche. "Il problema e' la velocita' di crescita molto bassa, che richiede ulteriori riforme per essere accelerata".

martedì 1 ottobre 2013

Scatta l’aumento dell’Iva “Una mazzata alla ripresa”

Un estratto dalla Stampa che ci mostra a che cosa potrebbe portare il nuovo aumento dell'Iva appena partito.

Dal vino al caffè, dai frigoriferi alle tv, dagli smartphone ai tablet. E ancora: dai prodotti per la casa a quelli per la cura della persona, dall’ingresso in piscina ai pacchetti vacanza. E prodotti di cartoleria, giocattoli, bibite gassate, succhi di frutta, mobili e biancheria, per dirne alcuni. Un elenco lungo così. La vita, per molti aspetti, da questa mattina costa l’1% in più.

Scatta l’aumento dell’Iva. L’aliquota più elevata - applicata ai prodotti non di prima necessità - passa dal 21 al 22%. E son dolori. Per Federdistribuzione comporterà tra i 105 e 110 euro di costi l’anno in più per famiglia, secondo Coop Italia saran quasi 200 euro. Più pessimisti i consumatori del Codacons: 349 euro in più. La benzina verde - informa Quotidiano Energia - dalla mezzanotte di ieri costa 1,5 centesimi in più, il gasolio 1,4. Insomma, un salasso. «Calcoliamo che il 40% dell’Aumento dell’Iva riguardi i prodotti di acquisto abituale», spiega Giovanni Cobolli Gigli, presidente di Federdistribuzione. 

Il gettito atteso sarebbe pari a 4,2 miliardi. «In realtà - avverte Cobolli Gigli - succederà che in primo luogo aumenterà l’evasione e creerà quello che sostanzialmente è una concorrenza sleale tra operatori. Quindi ci sarà comunque un calo dei consumi. E il gettito ne soffrirà». Intanto, a soffrire, sarà il carrello della spesa. «Le famiglie che già stanno facendo delle rinunce saranno costrette a farne altre». Così se tra gennaio e luglio i consumi son già crollati a valore del 2,6% «per fine anno mi aspetto fino al -3%, tra l’Iva e un ritorno di sfiducia dovuto anche all’instabilità politica».

E pensare che le cose iniziavano, seppure lentamente, a migliorare. «Segnali deboli», li chiama Maurizio Motta, direttore generale di Mediamarket, cui fanno capo i marchi Mediaworld e Saturn, il quale aveva notato «da marzo una nuova crescita dei visitatori nei punti vendita e qualche timido segnale negli acquisti e nell’interesse per le novità tecnologiche». Poi «la farsa e la tragedia» dell’Iva: «Una mazzata psicologica, che raffredda ogni tipo di segnale». Così gli ultimi tre mesi, che «per noi potevano essere positivi tra lo 0 e il 2%, con una stabilizzazione», con l’aumento saranno «più vicini allo zero, se non ancora in negativo». In ambito hi-tech, tra i più colpiti dall’aumento, saranno «gli acquisti importanti, come il televisore o il grande elettrodomestico». Non i tablet o gli smartphone «che sono ormai prodotti quasi necessari». Ma i primi effetti non arriveranno oggi, spiega Motta, «ma nel giro di 15-20 giorni, con i primi adeguamenti». Poi nel tempo «le aziende stesse modificheranno i listini: una parte dell’aumento verrà assorbito dalle aziende, parte, purtroppo, sarà sulle spalle dei consumatori. Contando le promozioni, nel tempo, si parla più o meno della metà». 
Ikea per i mobili e Esselunga nella grande distribuzione, diciamo così, più generalista, promettono che non toccheranno i prezzi.


mercoledì 25 settembre 2013

Casa: si attenua il calo del mercato delle compravendite , -7,7% nel secondo trimestre

Notizie positive dal Corriere della Sera. Il mercato immobiliare è di poco migliorato.
Infatti nel primo trimestre la flessione era stata pari al 13,8% e il valore medio di un abitazione in Italia sceso di 2400 euro.

Migliora il mercato della casa. Decelera infatti il trend negativo del mercato immobiliare nel secondo trimestre dell'anno. Con un calo del 7,7% rispetto allo stesso periodo del 2012, il volume delle compravendite si attesta a quota 242.817 e recupera sei punti rispetto al -13,8% del primo trimestre. Lo comunica l'Agenzia delle entrate.

VALORE MEDIO - Nel primo semestre del 2013 il valore medio di un'abitazione risulta pari a circa 167 mila euro, in diminuzione (-2.400 euro, -1,4%) rispetto al primo semestre dell'anno scorso. A sua volta il fatturato, che ha toccato i 34 miliardi nel primo semestre, è però diminuito del 12,9%.

giovedì 5 settembre 2013

Eurostat, nell'Eurozona la recessione è «tecnicamente» finita. Anche in Italia la frenata si attenua

Torna il segno più davanti all'indice del Prodotto interno lordo dell'Eurozona. Dopo un anno e mezzo di recessione, Eurostat ha confermato oggi il ritorno alla crescita, per quanto timida, del Pil europeo nel secondo trimestre di quest'anno, dopo sei rilevazioni consecutive in calo, già anticipato da una prima stima a Ferragosto. Il Pil è salito dello 0,3% nell'Eurozona (i 17 paesi che hanno aderito all'euro) e dello 0,4% nell'Ue (che nel periodo aprile/giugno era ancora composta da 27 paesi, ai quali solo in luglio si è aggiunta la Croazia). Rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso, il dato resta negativo nell'Eurozona (-0,5%) mentre è stabile nell'Ue a 27. Per Eurostat, l'Europa si porta così, almeno tecnicamente, fuori dalla recessione, confermando la prima stima dell'ufficio europeo di statistica del 14 agosto.

Italia ancora in frenata, ma meno rispetto al I° trimestre
Meno positivo il dato del Pil riferito all'Italia. Dopo il calo registrato ieri dall'Ocse (-2,4% nel 2012, con ulteriore flessione dell'1,8% nel 2013), l'Eurostat stima il Pil nazionale ancora in discesa nei primi sei mesi dell'anno dello 0,2% rispetto al primo trimeste, calo che comunque segna una attenuazione della contrazione rispetto al -0,6% registrato a inizio anno. Tra gli Stati membri i cui dati sono disponibili, il dato migliore su base trimestrale arriva dal Portogallo (+1.1%), seguito da Germania, Lituania, Finlandia e Regno Unito (tutti a +0.7%). Oltre all'Italia, l'arretramento piu' consistente riguarda invece Cipro (-1.4%), Slovenia (-0.3%), e Olanda (-0.2%).

La soddisfazione di Van Rompuy: finita la crisi esistenziale dell'eurozona
Soddisfatto per i dati diffusi dal Eurostat il presidente del Consiglio Ue, Herman Van Rompuy: «La "crisi esistenziale" dell'eurozona è finita. Ma la crisi economica, di crescita e lavoro, è ancora con noi» e quindi «non è tempo per compiacersi: la spensieratezza potrebbe mettere in pericolo gli sforzi fatti ed i risultati raggiunti». Per Van Rompuy, si cominciano a vedere «risultati concreti», dal momento che i segnali di crescita «sono disomogenei, modesti, forse fragili, ma positivi».

Rehn: segnale di svolta per l'economia europea
La conferma delle previsioni di Ferragosto spinge il portavoce del commissario Ue agli Affari economici, Olli Rehn, a paralre di «ulteriore segnale che l'economia europea ha raggiunto il momento di svolta». Insieme ai recenti indicatori sulla fiducia del business e dei consumatori in rialzo, il dato di oggi «é una conferma della previsione di un graduale ritorno alla crescita nella seconda metà dell'anno».

Brunetta: Italia grande malato, Saccomanni chiarisca coperture Imu
In Italia, gli ultimi dati Eurostat sul Pil (che seguono alle fosche previsioni Ocse di ieri) sono accolti con toni pessimistici dal capogruppo Pdl alla Camera, Renato Brunetta, che sottolinea come l'Italia sia tornata ad essere «il "grande malato d'Europa". Gli altri Paesi sono usciti dalla crisi, noi no». Brunetta invita quindi il ministro dell'Economia Saccomanni a «dire subito cosa intende fare per invertire la rotta», spiegando agli italiani «come coprirà il non aumento dell'Iva dal prossimo primo ottobre (1 miliardo)» e come finanzierà «la cancellazione della seconda rata dell'Imu sulle prime case e sui terreni e fabbricati funzionali alle attività agricole (2,4 miliardi)».

mercoledì 3 luglio 2013

Nel mercato residenziale europeo bene Nord Europa, Svizzera e Londra, il Sud ristagna

Il Sole 24 Ore ci mostra un quadro generale di quello che è il mercato del mattone in questo momento in Europa.

La corsa al mattone tedesco, non solo residenziale ma anche "commercial" (quindi uffici, negozi, centri commerciali e industriale), porta la Germania a gestire oggi la fetta più importante del real estate europeo: il 29% su un totale di 615 miliardi di euro (178,35 miliardi), valore stimato per fine anno in crescita dell'1,4% sul 2012.
L'Italia si ferma al 19%, con un fatturato previsto di 115 miliardi di euro per fine 2013. Sono questi i dati appena pubblicati da Scenari Immobiliari, che valuta nel 74% del totale il valore del segmento residenziale italiano. Dati che si inseriscono in un clima meno statico del passato grazie ad alcune operazioni concluse da operatori stranieri come Axa e Alllianz e altre pronte ad essere firmate. Anche se una vera ripartenza del comparto richiede un repricing più sostanzioso di quello avvenuto finora nel settore commerciale. Le previsioni sul secondo semestre, pur se leggermente positive, sono legate al miglioramento dell'economia complessiva e ad una maggiore fiducia delle famiglie e delle imprese, dice Scenari. Tutto si gioca sul campo della ripresa economica e della crescita. Se non riparte l'economia questa volta il mattone non potrà imboccare di nuovo la strada della crescita. Certamente, secondo gli operatori il real estate non avrà il ruolo di locomotiva per far ripartire anche altri comparti.

Il mercato residenziale
A fare la parte del leone nel fatturato generale è il residenziale, che mostra un andamento a due velocità da mesi. Paesi del Nord Europa, Svizzera e Gran Bretagna (ma quasi esclusivamente Londra) che vanno bene, Sud Europa in tilt. Ma bisogna evidenziare anche una differenziazione del trend in base al segmento di mercato. Il lusso ha tenuto meglio alla crisi, e anche in Spagna il settore delle case di alto livello ha subìto perdite di valore inferiori a quelli registrati da segmenti di livello medio-basso e periferici.
A pesare sulla domanda in Italia - qui i volumi delle transazioni hanno perso 27 miliardi di euro nel 2012, in termini numerici le transazioni si sono ridotte del 25,7% - è il difficile accesso al credito, ma anche la riduzione del reddito disponibile. La crescente disoccupazione e i timori di un inasprimento della crisi economica tengono lontani i compratori dal mercato immobiliare. È così che nel primo trimestre del 2013 l'agenzia delle Entrate registra ancora compravendite in discesa del 14% circa.
Secondo Scenari Immobiliari nel complesso europeo i valori nominali degli immobili sono stabili o in lieve calo, mentre flessioni più consistenti caratterizzano i Paesi in cui la recessione economica è particolarmente grave, quali Spagna, Portogallo, Irlanda e Grecia. In aumento i valori in Germania, Turchia e Svizzera. Quest'ultima con molte città a rischio bolla.

Il segmento uffici
Nonostante la crisi il settore direzionale ha mostrato una discreta tenuta, anche se l'incertezza sull'euro e l'inasprimento fiscale, soprattutto nell'Europa del sud, hanno un impatto pesante sul mercato del lavoro e frenano la ripresa. L'atteggiamento delle grandi società è differenziato: alcune sono prudenti e rimandano le decisioni, mentre altre portano avanti piani di espansione. Molte comunque ricontrattano i canoni per cercare di abbassare le spese. Questo è il trend più evidente del periodo. E i proprietari pur di non perdere l'inquilino si impegnano spesso a ristrutturare o a fornire qualche benefit. Qualche grande multinazionale, come Microsoft alle porte di Milano, intende ridurre drasticamente gli spazi e tornare in centro città. Anche gli edifici di classe A nel settore uffici in questo momento in Italia stanno vivendo un momento di sofferenza. Non c'è mercato per i complessi obsoleti. Anche nel resto d'Europa è in decisa crescita il gap tra immobili primari, con riferimento ai quali la domanda, sia di locazione che di investimento è sostenuta, e quelli secondari, caratterizzati da un eccesso di offerta e quotazioni in calo.

Negozi e shopping center
Gli spazi dedicati al commercio di livello primario hanno mostrato un andamento complessivamente positivo, con un divario sempre più ampio tra i diversi Paesi. Tuttavia le prospettive di sviluppo restano deboli nella maggior parte dei Paesi occidentali, mentre alcuni mercati emergenti, come quelli russo e turco, sono in fase espansiva.
Anche in Italia, dove negli anni passati gli investimenti dei grandi operatori, soprattutto esteri, si erano concentrati su retail park e shopping center, vive una fase riflessiva sul segmento retail.
A soffrire sono soprattutto le location secondarie.
Pertanto i canoni di locazione salgono nelle aree di pregio delle piazze più richieste, quali Istanbul, Mosca, Londra e le principali città tedesche, mentre per gli immobili secondari aumenta l'offerta e scendono le quotazioni.

Industriale
Con la crisi economica imperante certo il segmento degli immobili industriali non può che cedere il passo. Ma ci sono Paesi nei quali nell'ultimo semestre i mercati immobiliari industriali hanno mostrato una lieve ripresa, anche se l'atteggiamento di affittuari ed investitori continua ad essere dominato dalla prudenza. La domanda è in aumento in numerosi mercati, soprattutto con riferimento ai prodotti primari e alle superfici di medie dimensioni. Ancora in sofferenza, invece, le aree secondarie e gli spazi più grandi, per i quali la domanda continua ad essere modesta. Tra i mercati più attivi Amburgo, Monaco e Kiev.

giovedì 13 giugno 2013

Confcommercio, solo nel 2036 si recupererà il potere d'acquisto perduto

La Repubblica:

MILANO - Nel 'tax freedom day', cioè il giorno in cui si smette di lavorare per coprire il carico fiscale, arriva un nuovo allarme di Confcommercio sulla situazione del Paese. In un rapporto significativamente intitolato "l'Italia arretra", l'associazione dei commercianti denuncia che nel 2013 il numero di giorni di lavoro necessari per pagare tasse, imposte e contributi ha raggiunto il suo massimo storico: 162 giorni (ne occorrevano 139 nel 1990 e 150 nel 2000). Ne occorrono invece 130 nella media europea (-24% rispetto all'Italia). Un inasprimento che aggredisce un monte redditi già declinante contribuendo così sia a comprimere la domanda aggregata, sia a scoraggiare l'offerta di lavoro.
Onere da 10 miliardi per gli adempimenti fiscali. Secondo la ricerca Confcommercio-Cer, però, non è solo l'entità delle tasse a stringere un cappio sullo sviluppo economico. Sono ben 269 le ore di lavoro l'anno che servono a ogni impresa italiana per adempiere agli obblighi richiesti dal Fisco: l'eccesso di burocrazia porta i tempi necessari a espletare le pratiche al doppio della Francia, al 60% in più della Spagna, e al 30% in più della Germania. Le Pmi italiane sostengono così per gli adempimenti fiscali un onere annuo di 10 miliardi, quasi il 50% in più della media dei Paesi Ue.
Potere d'acquisto. A causa della crisi, "ogni famiglia italiana ha registrato, in media, una riduzione del proprio potere d'acquisto di oltre 3.400 euro". La dimensione raggiunta dalla caduta dei redditi è tale che, "se pure si riuscisse a tornare alle dinamiche di crescita pre-crisi, bisognerebbe comunque aspettare fino al 2036 per recuperare il potere d'acquisto perduto". In termini reali, "il reddito è in flessione ininterrotta dal 2008, con una contrazione cumulata dell'8.7% e una perdita complessiva di 86 miliardi di euro". I consumi delle famiglie, "nel 2009
ancora capaci di contrastare gli effetti della Grande recessione mondiale, sperimentano oggi una flessione di dimensione mai registrata nei quasi 70 anni di vita della Repubblica italiana". Il presidente Carlo Sangalli, ricordando come Squinzi che "il nord è sull'orlo del baratro", ha spiegato che i consumi sono al livello del 2000 e gli investimenti pubblici al 2003". In queste condizioni, hanno chiuso i battenti più di 40mila imprese quest'anno".
Priorità: no aumento Iva. La sterilizzazione dell'aumento dell'Iva in programma a luglio costituisce una priorità. Secondo lo studio, le ragioni a favore di uno spostamento della tassazione dalle persone alle cose mostrano "chiari elementi di debolezza. L'aumento dell'Iva determinerebbe pronunciati effetti regressivi". Sostituire una minore Irpef con una maggiore Iva, sempre secondo la ricerca, penalizzerebbe le famiglie comprese nel primo 50% della distribuzione del reddito, con perdite comprese fra 200 e 50 euro per nucleo familiare. Lo stesso presidente Sangalli ha parlato dell'ipotesi di innalzamento dell'Iva al 22% come di "benzina sul fuoco della recessione". Sul punto si è anche assistito a una contestazione del ministro allo Sviluppo economico, Flavio Zanonato, che ha detto di "non poter promettere" il congelamento dell'imposta.
Crescita nel biennio all'1,9%. In questo contesto, secondo lo studio la ripresa resta debole e ben sotto le stime del governo: "L'economia italiana continua ad arretrare. Come mostra l'esercizio di previsione, il Pil diminuirà nel 2013 per il secondo anno consecutivo e per la quarta volta dal 2007. Le prospettive di recupero per il 2014-15 appaiono inoltre più deboli di quelle assunte dal Governo nel Def dello scorso aprile: secondo le nostre stime, nel prossimo biennio la crescita cumulata si arresterà all'1,9%, un punto in meno di quanto prospettato nei valori programmatici (2,8%)".

venerdì 31 maggio 2013

Le imprese hanno ora bisogno che la Bce porti il tasso sui depositi sotto-zero

Sul Sole 24 Ore ho trovato questa notizia...

Gli analisti sono divisi soltanto sulla data del prossimo taglio dei tassi da parte della Banca centrale europea: giugno o luglio? Al netto di questo dubbio la maggior parte è certa che a breve l'istituto di Francoforte ridurrà ulteriormente il costo del denaro, attualmente fissato al minimo storico dell'area euro dello 0,5% (con il tasso sui depositi, quello che la Bce paga alle banche che parcheggiano la liquidità, già azzerato).
Nelle ultime ore l'Ocse, l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, ha esortato il governatore Mario Draghi a intervenire ancora, portando in negativo il tasso sui depositi per scoraggiare quindi le banche dal parcheggiare la liquidità nel conto corrente della Bce. Con la speranza che una parte di questa liquidità finisca invece nell'economia reale, a quelle Pmi che arrancano a causa della chiusura dei rubinetti del credito (nell'ultimo anno secondo Bankitalia lo stock di prestiti bancari alle imprese si è ridotto di 40 miliardi).
Ma il punto è proprio questo: un taglio dei tassi da parte della Bce impatterà positivamente nell'economia reale? Purtroppo la speranza che questa liquidità offerta quasi gratuitamente alle banche venga girata alle imprese sono remote. Per almeno tre motivi:
1) le banche devono rafforzare il patrimonio per via dei vincoli più stringenti di Basilea III;
2) le banche preferiscono fare profitti immediati che profitti a medio-termine (anche perché i bonus ai manager vengono commisurati sui profitti annui). Questo fa sì che spesso risulti più "conveniente" per le aziende bancarie utilizzare la liquidità per compiere operazioni speculative piuttosto che oliare imprese che operano in un tessuto produttivo a Pil calante (quale appunto l'Italia);
3) non esiste una legge/regolamento che obblighi le banche a prestare soldi alle imprese. Una funzione vitale per l'economia che ad oggi rientraperò  tra le facoltà delle banche;
Per cui, l'unica speranza che una parte dell'ulteriore liquidità che finirebbe nelle casse delle banche con un conseguente taglio dei tassi da parte della Bce è che ciò accada per via indiretta. In che modo? Se il tasso sui depositi fosse portato su una soglia negativa potrebbe innescare una vendita di euro comportando a ruota una svalutazione della moneta unica. Svalutazione che risulterebbe "competitiva" per molte imprese e aiutarebbe l'export. Una ripresa dell'export e delle prospettive di utili per le imprese potrebbe poi spingere le banche a trovare più conveniente puntare su imprese nuovamente profittevoli. Ed è così, che al compimento del cerchio, le banche potrebbero tornare a prestare alle imprese la liquidità che comprano oggi a buon mercato dall Bce.
governatore Mario Draghi a intervenire ancora, portando in negativo il tasso sui depositi per scoraggiare quindi le banche dal parcheggiare la liquidità nel conto corrente della Bce. Con la speranza che una parte di questa liquidità finisca invece nell'economia reale, a quelle Pmi che arrancano a causa della chiusura dei rubinetti del credito (nell'ultimo anno secondo Bankitalia lo stock di prestiti bancari alle imprese si è ridotto di 40 miliardi).

martedì 30 aprile 2013

Così cambia la scommessa dei mercati

Anche il requiem per l'Italia si è rivelato una scommessa sbagliata, così sostiene Il Sole 24 Ore.

Borsa in costante recupero, investitori esteri che tornano a comprare debito italiano, tassi al minimo storico sul breve termine e ai livelli pre-crisi sui decennali, ordini talmente sostenuti in asta da aver riportato il rendimento medio all'emissione attorno al 2%, valore prossimo ai minimi storici dell'ultimo decennio, mentre il tasso medio sull'intera consistenza dei titoli domestici è sceso al 4% dal 4,7% di due anni fa. Uno scenario come questo appariva a dir poco remoto dopo il voto delle politiche.
L'Italia, prigioniera dello stallo elettorale, dell'anti-europeismo e del populismo galoppante, priva di un governo e con un'economia in recessione profonda, sembrava destinata a una progressiva emarginazione dai mercati, tanto da far paventare ad alcuni economisti un imminente ricorso agli aiuti europei. E invece no. Come le previsioni sulla fine dell'euro con la crisi greca, o di una devastante fuga di capitali con il salvataggio di Cipro, anche il requiem per l'Italia si è rivelato una scommessa sbagliata. Certo i problemi restano, dal credit crunch alla peggiore crisi industriale e occupazionale dal dopoguerra. Ma non c'è dubbio che oltre (o forse anche grazie) alla spinta della liquidità di cui tutte le economie stanno beneficiando, l'Italia abbia saputo capitalizzare meglio di altri sul rapido miglioramento delle aspettative degli investitori. A cominciare dal livello tecnico: il Tesoro, modificando l'anno scorso le modalità e il caldendario delle emissioni, ha potuto infatti sfruttare positivamente le finestre di collocamento che si sono via via presentate, garantendosi in appena 4 mesi più del 40% del fabbisogno di rifinanziamento dell'intero anno.
Certo, la strada è ancora lunga e le incognite - non solo interne ma anche internazionali - altissime. Ma resta il fatto che uno scenario come quello attuale rappresenti il migliore che un governo di coalizione, metà tecnico metà politico, si potesse immaginare dopo mesi di vuoto politico e una gestazione tanto travagliata. Come capitalizzare ancora su questo trend sarà però il vero problema.
L'apparente fiducia che i mercati sembrano accordare all'Italia rende infatti ancora più alto il carico di responsabilità che grava sul nuovo esecutivo. Il Paese è in recessione, il lavoro manca, famiglie e imprese sono fiaccate dal fisco e le aspettative depresse da due anni di politiche del rigore. Pensare che agli investitori basti ora un nuovo governo e la promessa di un cambiamento della politica è illusorio e soprattutto pericoloso. I tre cardini programmatici dell'esecutivo a guida Letta - crescita, nuova Europa e riforme politiche - rappresentano esattamente ciò che i mercati chiedono all'Italia e al resto del mondo, ma per riconquistare la fiducia internazionale dopo quanto è successo servono soprattutto i fatti: riforme, certamente, ma anche il coraggio di imporre all'Europa una svolta per lo sviluppo, con meno attenzione ai dogmi tedeschi sul debito e sul deficit.
A dirlo non è soltanto il sistema economico, quello industriale o persino gli speculatori, che mai come ora stanno facendo incetta di debito, sovrano o aziendale. È la realtà dei fatti che lo impone. Mentre i grandi economisti di Harvard come Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff continuano a ripetere che il debito è il vero e unico grande male delle economie e che la sola cura valida resta quella del rigore, mai come ora il mercato è stato pronto a sostenere il contrario: basti pensare che in soli cinque anni, il debito sovrano collocato sui mercati è quasi raddoppiato a 23mila miliardi di dollari (cifra pari alla somma dei Pil di Usa e Cina), mentre i rendimenti medi sono addirittura scesi (secondo i calcoli di Bank of America Merrill Lynch) all'1,34% dal 3,28% di 5 anni anni fa. Con un calo così marcato dei tassi, alla forte richiesta di debito generata dalla liquidità si è ovviamente associata una domanda di rendimenti che ha però trovato pochi sbocchi: Bank of America ha calcolato che dei 23mila miliardi di dollari di debito sovrano circolante, ben 20mila miliardi di dollari abbiano oggi rendimenti inferiori all'1%. Ecco allora il motivo della corsa ai BTp, ai BoT, ai Bonos e persino ai bond del Rwanda e della Mongolia, new entry sul mercato dei capitali: la Mongolia - rating spazzatura - ha appena collocato 400 milioni di dollari di titoli a 10 anni con un tasso del 5,1%, quanto pagava l'Italia fino a poco tempo fa.
Insomma, per i governi, soprattutto quelli dell'area periferica dell'Euro, la situazione attuale presenta opportunità straordinarie, quasi irripetibili, per coniugare (e possibilmente attenuare) le politiche del rigore con quelle per la crescita e lo sviluppo. I mercati, in questo senso, sono oggi ben più avanti della Merkel, dei falchi della Bundesbank e soprattutto dei grandi teorici del rigore, gli unici a non essersi accorti che le politiche espansive delle banche centrali hanno smentito gli assunti di tante teorie.

mercoledì 24 aprile 2013

Bankitalia: «Fisco troppo pesante, danneggia onesti e crescita». «Pressione da redistribuire»

Per il Corriere della Sera la situazione è chiara: per pareggiare il bilancio ci saranno altre correzioni dal 2015. Non ci devono più essere incertezze su tasse immobili.

«Per mantenere il pareggio di bilancio anche dal 2015 sarà necessario introdurre ulteriori correzioni, sia pure di dimensioni limitate rispetto a quanto fatto in passato». Lo ha detto Daniele Franco, direttore centrale per la Ricerca economica e le Relazioni internazionali della Banca d'Italia, nella sua audizione sul Def davanti alle Commissioni congiunte speciali per l'esame di atti del Governo del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati. «Per quanto riguarda la finanza pubblica, il Def mette in luce gli importanti risultati conseguiti grazie agli interventi correttivi attuati negli scorsi anni - ha spiegato -. In particolare, si prevede che l'indebitamento netto continui a scendere e che già nel 2013 sia conseguito l'obiettivo del pareggio di bilancio in termini strutturali, che costituisce il punto di riferimento della riforma costituzionale del 2012 e delle nuove regole europee.

NO INCERTEZZE SU TASSE IMMOBILI - Ma perchè l'Europa riconosca il raggiungimento dell'obiettivo del pareggio di bilancio (con la chiusura della procedura per disavanzi eccessivi) - ha rilevato Franco - «vanno immediatamente dissipate le incertezze sulla stabilità del gettito legato al vigente sistema di imposizione sugli immobili». Il direttore centrale per la ricerca economica di Bankitalia, non ha comunque fatto alcun riferimento esplicito all'Imu mentre in un altro capitolo del testo si fa riferimento alla riforma del catasto per eliminare iniquità.

PRESSIONE AI MASSIMI - Il direttore Franco ha poi aggiunto che la pressione fiscale al 44% è «molto elevata», sia a livello storico sia nel confronto internazionale - 3 punti sopra paesi Ue - e «l'elevato livello di evasione fiscale rende il carico sui contribuenti onesti ancora più ingente» ed «è ostacolo alla crescita». Secondo l'istituto di Via Nazionale, è necessario «ridefinire la composizione del carico tributario in modo da ridurre le distorsioni nell'offerta dei fattori produttivi». «L'elevato livello di evasione fiscale - secondo palazzo Koch - rende il carico sui contribuenti onesti ancora più ingente, esso determina distorsioni nell'offerta di fattori produttivi e fenomeni di concorrenza sleale ed è d'ostacolo alla crescita della dimensione delle imprese».

CONTI E MISURE PER L'ECONOMIA - «La gravità della situazione - ha detto ancora Franco - richiede un'azione di politica economica ampia e organica, che coniughi l'equilibrio dei conti pubblici e le azioni strutturali volte a innalzare il potenziale di crescita dell'economica con il sostegno in tempi brevi del sistema produttivo e delle fasce deboli della popolazione».

martedì 19 febbraio 2013

Andrea Cingoli: il private banking italiano deve voltare pagina

Andrea Cingoli, ad Banca Esperia
Andrea Cingoli, ad Banca Esperia
Secondo Andrea Cingoli, ad di Banca Esperia, joint-venture paritetica tra Mediobanca e Mediolanum, il futuro del private banking  non passerà necessariamente dalle aggregazioni fra soggetti che rischiano di "mettere insieme debolezze e distruggere valore".
Il salto di qualità infatti, secondo il suo parere, si giocherà molto anche sul rapporto col cliente e su un nuovo ruolo affidato ai professionisti del settore che dovranno abbandonare quella metodologia un po' “solistica” adottata negli anni passati, per diventare veri e propri “direttori d'orchestra” capaci di offrire le migliori soluzioni possibili.

“Il private banking italiano deve voltare pagina - spiega Andrea Cingoli - i numeri ottenuti negli anni passati oggi non sono più possibili. Serve senz'altro una massa critica ma soprattutto una gestione di questo business all'insegna della più assoluta trasparenza verso il Cliente”.

giovedì 7 febbraio 2013

Mutui, perché l'Euribor ha ripreso a salire e fino a dove può arrivare


Ecco cosa ne sarà, secondo il Sole 24 Ore, dei nostri mutui:


L'Euribor è in risalità. Su tutte le principali scadenze (da 1 mese a 12 mesi) l'indice interbancario tanto caro alle famiglie che stanno rimborsando un mutuo a tasso variabile (o si apprestano a stipularne uno) da qualche giorno ha invertito il lungo trend al ribasso che lo ha portato a toccare i minimi di tutti i tempi. Il primo rialzo si è registrato il 24 gennaio, da allora, al piccolo trotto l'Euribor ha continuato a salire. Oggi l'Euribor a 1 mese è stato fissato allo 0,123% (pochi centesimi in più rispetto al minimo storico dello 0,107%) mentre l'Euribor a 3 mesi è stato fissato allo 0,233% (contro
il minimo a 0,181%).
Sia chiaro, si tratta di ritocchi marginali che però vanno comunque analizzati perché le rate della maggior parte dei mutui variabili sottoscritti in Italia, si adeguano di mese in mese proprio alle oscillazioni, seppur minime, di questo parametro.
Ma perché gli Euribor hanno invertito la tendenza? E fino a dove potrebbero muoversi? Proviamo a rispondere a queste due domande, in attesa di avere nuovi lumi dalla Banca centrale europea che domani tornerà - come accade per ogni primo giovedì del mese - a riunirsi in sede ordinaria e a dettare gli aggiornamenti sulla politica monetaria. E con ogni probabilità dovrebbe mantenere il tasso di riferimento (il costo del denaro) allo 0,75%, minimo di sempre per l'Eurozona. 

Perché gli Euribor stanno salendo
Tralasciando le polemiche e le indagini sulla manipolazioni degli Euribor - che recentemente si sono estese alle banche tedesche visto che l'autorità tedesca di regolamentazione dei mercati finanziari Bafin ha deciso di lanciare una inchiesta approfondita e si sta concentrando su quattro dei principali istituti bancari del Paese, tra cui Deutsche Bank e Portigon - possiamo registrare che i primi rialzi dell'Euribor sono inevitabilmente collegati alla notizia della restituzione di capitali ricevuti in prestito dalla Bce da parte di molti istituti europei.
Seconto quanto comunicato dalla Bce a fine gennaio, 278 dei 583 istituti europei che a dicembre dello scorso anno avevano ricevuto prestiti agevolati per un totale di 489 miliardi, ne hanno restituiti 137 (prima della scadenza) alla Bce. Il dato è superiore alle attese e indica sostanzialmente due cose: 1) avvio di un processo di normalizzazione del mercato interbancario; 2) riduzione di liquidità che si è riflessa sui tassi a breve, spingendoli al rialzo.
Così sono balzati i tassi Eonia (una sorta di Euribor in versione ridotta che misurano la media dei tassi interbancari su scambi giornalieri, tassi overnight). Sono risaliti gli Euribor (da 1 a 12 mesi). E sono risaliti anche i titoli di Stato tedeschi con i titoli battuti in asta a 12 mesi tornati positivi dopo che per sette mesi hanno offerto un rendimento negativo e paradossale.
«Sia chiaro, è un movimento ridotto rispetto ai minimi assoluti, prossimi allo 0, siamo risaliti di pochi centesimi - spiega Roberto Anedda, vicepresidente di Mutuionline.it -. Ma è un segnale importantissimo perché finalmente qualcosa sta tornando verso la normalità: sta ad indicare che il mercato interbancario ha cominciato a riaprirsi e questo potrebbe portare a una progressiva normalizzazione degli Euribor (la media storica degli ultimi 10 anni per l'Euribor a 3 mesi è del 3% contro lo 0,23% attuale,ndr)».

Le previsioni sugli Euribor
In questo momento i future che proiettano l'andamento dell'Euribor a 3 mesi da qui a cinque anni indicano una lenta ma costante risalita: il tasso dovrebbe portarsi allo 0,5% a fine 2013 per raddoppiare all'1% a settembre 2014 fino a raggiungere l'1,8% nel settembre 2017. Previsioni che vanno ovviamente prese con le pinze perché attualizzano quello che oggi il mercato pensa accadrà nei prossimi anni. I margini di errore, quindi, sono alti. Ma la tendenza di fondo resta valida: questi Euribor non possono che salire in conseguenza del fatto che il mercato interbancario, e quindi lo stato di salute delle banche dell'Eurozona, non può che migliorare rispetto alla condizione anomala in cui versa in questa fase.

Cosa cambia per i mutui

Una notizia che non farà piacere a chi sta rimborsando un mutuo a tasso variabile che vedrà probabilmente nei prossimi mesi piccoli ritocchi al rialzo delle rate, dopo aver però beneficiato negli ultimi anni della straordinaria caduta degli Euribor. Nel computo algebrico complessivo quindi, in caso di rialzo degli Euribor, andrebbero messi anche gli incredibili vantaggi percepiti dalla generazione di mutuatari fortunati con lo scivolone degli utlimi anni. E poi, un altro dato: le previsioni indicano sì un trend rialzista ma decisamente al piccolo trotto (150 punti base partendo da soglie azzerate) in quattro anni. Ciò significa che la differenza che oggi persiste tra i migliori mutui a tasso variabile (3%) e i migliori a tasso fisso (5%) offre ai "variabili" ancora un margine di vantaggio per valutare seriamente questa opzione, anche alla luce del trend sull'Euribor.
A ciò va aggiunto, per chi oggi si appresta a stipulare un mutuo, che un eventuale rialzo degli Euribor non potrà che essere accompagnato da una contestuale discesa degli spread applicati dalle banche sui mutui. Perché a quel punto le banche non avrebbero più giustificazioni per tenerli alti.

mercoledì 30 gennaio 2013

Mutui, perché uno spread all'1% è ormai un'illusione. Ecco la formula che utilizzano le banche

Il Sole 24 Ore mostra un interessantissimo articolo da non perdere:
Nessuna scossa sul mercato dei mutui. Anche questa settimana è iniziata con gli stessi spread. Mediamente al 4,05%, nelle migliori offerte al 2,85% (tasso variabile) e 3% (tasso fisso). Una storia che ormai va avanti da oltre un anno.
A quanto risulta al Sole 24 Ore, però qualche istituto è pronto a lanciare a breve campagne pubblicitarie per rilanciare le erogazioni di mutui attraverso una riduzione degli spread verso quota 2,7%. Decisivo sarà l'esito delle elezioni. Alcuni istituti, infatti, prima di ridurre un po' gli spread (e rendere quindi più competitivi i mutui in un mercato immobiliare peraltro ingessato anche da una bassa domanda) aspettano di vedere come andrà la tornata elettorale di fine febbraio sperando che non porti scossoni al debito pubblico e all'altro spread, quello tra BTp e Bund.
In ogni caso, pur ipotizzando uno scenario elettorale poco turbolento e considerando che negli ultimi mesi le banche hanno beneficiato dello scudo anti-spread lanciato da Draghi e dell'allentamento dei vincoli patrimoniali dei Basilea III, le aspettative di riduzione degli interessi sui nuovi mutui restano magre. Se è vero che le nuove migliori offerte si potrebbero attestare con uno spread intorno al 2,7%, è vero anche che siamo lontani anni luce da luglio 2011, quando si stipulavano mutui in Italia con sopread allo 0,9%.
Perché siamo ancora così distanti? Per capirlo bisogna scomporre lo spread e vedere come le banche lo calcolano.
Innanzitutto usciamo da un luogo comune, quello che vede lo spread associato al margine di guadagno della banca sul mutuo. Il margine di guadagno è uno dei tre elementi che compongono lo spread. Gli altri due sono: il costo di raccolta del denaro all'ingrosso e i costi di copertura dal rischio di oscillazione dei tassi.

I costi di raccolta
Quanto al primo punto le banche, come qualsiasi negoziante, comprano il denaro all'ingrosso (mercato interbancario) e lo rivendono a un costo maggiorato al dettaglio (attraverso prestiti e mutui).
Come si misurano i costi di raccolta capitali delle banche sul mercato interbancario? Normalmente basta vedere l'andamento dei principali indici interbancari, gli Euribor (per le durate brevi, da 1 settimana a 12 mesi) e gli Eurirs (per le durate più lunghe) . La crisi finanziaria in corso ha però evidenziato le lacune del cacolo dell'Euribor, che esprime la sintesi dei tassi a cui un panel di 39 banche internazionali (perlopiù europee) dichiara di prestarsi soldi. In questo momento l'Euribor a 1 mese è allo 0,12% mentro quello a 12 mesi è allo 0,6%. Tassi molto bassi, addirittura più bassi del tasso di riferimento della Bce (0,75%). Poi ci sono gli Eurirs che viaggiano più cari in quanto la durata aumenta: il tasso a 10 anni è all'1,87%, quello a 20 al 2,39% e quello a 25 al 2,43%. Si tratta dei minimi di tutti i tempi.


mercoledì 23 gennaio 2013

Esodi incentivati, boom in banca

Il Sole 24 Ore inquadra la situazione del mondo del credito. Di seguito quanto riportato dal giornale.

MILANO - Difficile capire quanto possa durare ancora questa crisi. Difficile, soprattutto, capire quali conseguenze possa ancora produrre sul tessuto economico nazionale. Un dilemma che molti bancari italiani si devono essere posti seriamente in questi giorni, almeno a giudicare dai primi numeri che emergono da due dei principali piani di ristrutturazione varati nel mondo del credito, vale a dire quelli di Bpm e Ubi. In entrambi i casi, emerge la costante di una «corsa all'esodo» da parte dei lavoratori, contro ogni previsione da parte delle stesse aziende. Sono 916, contro le 650 previste dall'azienda, le domande volontarie di uscita presentate dai lavoratori di Ubi Banca in questi giorni. Il 41% in più rispetto a quanto preventivato. L'accordo del 29 novembre, che reca la firma dei sindacati Dircredito, Fabi, Fiba, Ugl, Uilca, Sinfub (unico non firmataria è stata Fisac) prevede uscite solo su base volontaria e incentivata per i prossimi 5 anni (dal 2013 al 2017), di cui una parte attraverso il pensionamento, e l'altra attraverso l'accesso al Fondo esuberi (è l'ammortizzatore sociale della categoria dei bancari), con un assegno di sostegno al reddito pari all'85% dell'ultima retribuzione netta mensile percepita dal lavoratore. L'intesa prevede anche la possibilità di ridurre o sospendere volontariamente l'orario di lavoro, opportunità incentivata dalla possibilità di recuperare il 60% del salario, nelle ore non lavorate, con ricorso al Fondo esuberi. Anche quest'ultima opportunità ha riscosso un massiccio numero di adesioni tra i lavoratori: l'hanno richiesta 3.887 dipendenti per un totale di 375mila giornate richieste, contro le 220mila preventivate dall'accordo sindacale. «Le massicce adesioni dei lavoratori al piano d'esodo dimostrano che questo accordo è stato sottoscritto nell'esclusivo interesse dei dipendenti del gruppo Ubi» ha spiegato il coordinatore Fabi per il gruppo, Paolo Citterio. «L'intesa – ha proseguito il sindacalista – ha permesso di salvaguardare la contrattazione aziendale e di applicare misure di solidarietà solo dietro incentivo economico e su base volontaria».
Anche in Bpm i primi numeri fanno riflettere. Secondo fonti vicine all'azienda le richieste di esodo incentivato legate all'accordo del 6 dicembre (in questo caso a non firmare è stato solo Dircredito), realizzato con l'obiettivo aziendale di ridurre il costo del lavoro di circa 70 milioni, sono circa un centinaio in più rispetto alle 700 stimate.