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martedì 30 aprile 2013

Così cambia la scommessa dei mercati

Anche il requiem per l'Italia si è rivelato una scommessa sbagliata, così sostiene Il Sole 24 Ore.

Borsa in costante recupero, investitori esteri che tornano a comprare debito italiano, tassi al minimo storico sul breve termine e ai livelli pre-crisi sui decennali, ordini talmente sostenuti in asta da aver riportato il rendimento medio all'emissione attorno al 2%, valore prossimo ai minimi storici dell'ultimo decennio, mentre il tasso medio sull'intera consistenza dei titoli domestici è sceso al 4% dal 4,7% di due anni fa. Uno scenario come questo appariva a dir poco remoto dopo il voto delle politiche.
L'Italia, prigioniera dello stallo elettorale, dell'anti-europeismo e del populismo galoppante, priva di un governo e con un'economia in recessione profonda, sembrava destinata a una progressiva emarginazione dai mercati, tanto da far paventare ad alcuni economisti un imminente ricorso agli aiuti europei. E invece no. Come le previsioni sulla fine dell'euro con la crisi greca, o di una devastante fuga di capitali con il salvataggio di Cipro, anche il requiem per l'Italia si è rivelato una scommessa sbagliata. Certo i problemi restano, dal credit crunch alla peggiore crisi industriale e occupazionale dal dopoguerra. Ma non c'è dubbio che oltre (o forse anche grazie) alla spinta della liquidità di cui tutte le economie stanno beneficiando, l'Italia abbia saputo capitalizzare meglio di altri sul rapido miglioramento delle aspettative degli investitori. A cominciare dal livello tecnico: il Tesoro, modificando l'anno scorso le modalità e il caldendario delle emissioni, ha potuto infatti sfruttare positivamente le finestre di collocamento che si sono via via presentate, garantendosi in appena 4 mesi più del 40% del fabbisogno di rifinanziamento dell'intero anno.
Certo, la strada è ancora lunga e le incognite - non solo interne ma anche internazionali - altissime. Ma resta il fatto che uno scenario come quello attuale rappresenti il migliore che un governo di coalizione, metà tecnico metà politico, si potesse immaginare dopo mesi di vuoto politico e una gestazione tanto travagliata. Come capitalizzare ancora su questo trend sarà però il vero problema.
L'apparente fiducia che i mercati sembrano accordare all'Italia rende infatti ancora più alto il carico di responsabilità che grava sul nuovo esecutivo. Il Paese è in recessione, il lavoro manca, famiglie e imprese sono fiaccate dal fisco e le aspettative depresse da due anni di politiche del rigore. Pensare che agli investitori basti ora un nuovo governo e la promessa di un cambiamento della politica è illusorio e soprattutto pericoloso. I tre cardini programmatici dell'esecutivo a guida Letta - crescita, nuova Europa e riforme politiche - rappresentano esattamente ciò che i mercati chiedono all'Italia e al resto del mondo, ma per riconquistare la fiducia internazionale dopo quanto è successo servono soprattutto i fatti: riforme, certamente, ma anche il coraggio di imporre all'Europa una svolta per lo sviluppo, con meno attenzione ai dogmi tedeschi sul debito e sul deficit.
A dirlo non è soltanto il sistema economico, quello industriale o persino gli speculatori, che mai come ora stanno facendo incetta di debito, sovrano o aziendale. È la realtà dei fatti che lo impone. Mentre i grandi economisti di Harvard come Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff continuano a ripetere che il debito è il vero e unico grande male delle economie e che la sola cura valida resta quella del rigore, mai come ora il mercato è stato pronto a sostenere il contrario: basti pensare che in soli cinque anni, il debito sovrano collocato sui mercati è quasi raddoppiato a 23mila miliardi di dollari (cifra pari alla somma dei Pil di Usa e Cina), mentre i rendimenti medi sono addirittura scesi (secondo i calcoli di Bank of America Merrill Lynch) all'1,34% dal 3,28% di 5 anni anni fa. Con un calo così marcato dei tassi, alla forte richiesta di debito generata dalla liquidità si è ovviamente associata una domanda di rendimenti che ha però trovato pochi sbocchi: Bank of America ha calcolato che dei 23mila miliardi di dollari di debito sovrano circolante, ben 20mila miliardi di dollari abbiano oggi rendimenti inferiori all'1%. Ecco allora il motivo della corsa ai BTp, ai BoT, ai Bonos e persino ai bond del Rwanda e della Mongolia, new entry sul mercato dei capitali: la Mongolia - rating spazzatura - ha appena collocato 400 milioni di dollari di titoli a 10 anni con un tasso del 5,1%, quanto pagava l'Italia fino a poco tempo fa.
Insomma, per i governi, soprattutto quelli dell'area periferica dell'Euro, la situazione attuale presenta opportunità straordinarie, quasi irripetibili, per coniugare (e possibilmente attenuare) le politiche del rigore con quelle per la crescita e lo sviluppo. I mercati, in questo senso, sono oggi ben più avanti della Merkel, dei falchi della Bundesbank e soprattutto dei grandi teorici del rigore, gli unici a non essersi accorti che le politiche espansive delle banche centrali hanno smentito gli assunti di tante teorie.

mercoledì 27 giugno 2012

Angela Merkel: Non esistono strade facili per uscire dalla crisi

Angela Merkel
L'uscita dalla crisi non potrà essere semplice e rapida. Lo dice il cancelliere tedesco, Angela Merkel, parlando davanti al Bundestag alla vigilia del vertice europeo. "Non sarà mai detto abbastanza, ma non esistono soluzioni facili e veloci a questa crisi" ha detto la Merkel, aggiungendo che con Mario Monti l'Italia ha affrontato un percorso di "solidità" e "crescita".

Riguardo agli Eurobond, la Merkel ha ribadito la propria contrarietà a tali strumenti definendoli "economicamente controproducenti" e, aggiungendo che "la forza e la solidità della Germania non deve essere sovrastimata". Il cancelliere  ribadisce che l'uscita dalla crisi "sarà un processo graduale" e ripete che "non ci può essere crescita senza consolidamento dei conti pubblici".

(Telebrsa)

giovedì 17 maggio 2012

Obama e Monti sulla crisi: crescita e occupazione obiettivi prioritari

La crescita e l’occupazione sarebbero obiettivi prioritari secondo Il presidente Usa Barack Obama e il presidente del Consiglio italiano Mario Monti per uscire dalla crisi economica che sta attanagliando l'Eurozona.
Ieri i due leader ne hanno discusso durante un colloquio telefonico che anticipa di qualche giorno il G8 di Camp David. Altro tema caldo la guerra in Afghanistan che sarà al centro del vertice Nato a Chicago , a partire da domenica.
La telefonata rappresenta l'ultimo segnale che questo potrebbe essere il momento giusto per stringere i tempi sulla questione crescita nell'Eurozona, dopo anni di politiche di austerita'. La necessita' di stimolare la crescita e tagliare le spese e' stata sottolineata anche dall'elezione del nuovo presidente francese Francois Hollande, che ieri a Berlino ha incontrato il Angela Merkel, strenuo difensore dell'austerity.
Obama e Monti avrebbero convenuto sull’immediato bisogno di intensificare gli sforzi per la creazione di posti di lavoro. ''Il presidente attende di discutere questi argomenti in modo piu' dettagliato con il primo ministro italiano durante la prossima riunione dei leader del G8 a Camp David questo fine settimana'', fa sapere la Casa Bianca. Obama e Monti hanno poi discusso di Afgfhanistan e del passaggio della gestione della sicurezza dalla Nato alle autorita' locali in vista del ritiro delle forze Isaf pervisto entro il 2014.

giovedì 2 luglio 2009

Europa, il vero rischio è la deflazione

"I dati diffusi stamane sui prezzi alla produzione indicano che in Europa vi è un rischio che è forse più pronunciato che altrove: la deflazione, lo stesso male che ha portato ad un impoverimento di un decennio il Giappone. La gente consuma poco ed i prezzi alla produzione (ad Aprile il prezzo del petrolio aveva già iniziato a salire) scendono. I salari quindi scendono, così come il prezzo delle case.
I prezzi al consumo vedranno con ogni probabilità una caduta ancora maggiore, perchè la domanda si contrae. Tale fenomeno sarà aggravato dall'apprezzamento dell'Euro cui il maldestro intervento di ieri della Merkel ha dato un'ulteriore spinta.
Le banche centrali sono obbligate ad effettuare massiccie operazioni di riacquisto titoli e , contrariamente a quanto tutti oramai credono in questa fase, il rischio maggiore è ancora la deflazione, o la Fed avrebbe già iniziato ad alzare i tassi. L'unica spinta inflazionistica viene dal petrolio, per ragioni non legate alla domanda ma all'offerta, mentre si continua a non avere un serio piano energetico paneuropeo.
Invece che fare campagna pre-elettorale, i politici dovrebbero favorire il coordinamento delle politiche monetarie dei vari blocchi, cosa che tranne nel periodo di più acuta crisi non sta più succedendo."
(finanze.net)

martedì 9 giugno 2009

Regole e vigilanza: il progetto Ecofin

Oggi, a risultati elettorali ancora caldi, l'Ecofin si riunirà a Bruxelles per approvare un documento di primo livello per l'exit strategy dalla crisi finanziaria, nonché per la più ampia governance istituzionale della Ue
Riporto un articolo a questo proposito letto ieri su Il Sussidiario:

"I ministri economici sono chiamati a formalizzare il progetto di attivazione di nuove strutture di vigilanza finanziaria e bancaria sovrannazionale. Le grandi linee del disegno - che discende dagli studi della commissione De Larosière - sono note. Un nuovo “consiglio europeo dei rischi sistemici” (Esrc) comincerà a svolgere una supervisione macroprudenziale sulle cosiddette “istituzioni sistemiche”: anzitutto, in concreto, le grandi banche che - come ha dimostrato la crisi globale - possono mettere in pericolo con i propri squilibri la stabilità dell'intero sistema. Un “sistema europeo dei supervisori finanziari” (Esfs) è invece incaricato di coordinare e omogeneizzare la vigilanza e le authority nazionali su banche, assicurazioni e Borse, cui resterebbe la vigilanza microprudenziale (cioè sui soggetti a rilievo nazionale).

I consigli sarebbero, nell'ipotesi pre-approvata a fine maggio, formati dai capi-authority dei 27. Per le banche è prevista una complementarietà tra governatori dell'Eurozona (E-16) e quelli della più ampia Unione a 27. È, per ora, lasciata aperta l'opzione di attribuire successivamente la vigilanza sovrannazionale alla Bce, la quale, comunque, è già una tecnostruttura funzionante a livello crossborder. Nel pacchetto è inclusa anche una regolamentazione più vincolante per gli hedge fund: gli intermediari con minor trasparenza e maggior propensione al rischio, veri volani della crisi assieme alla finanza derivata stipata in "veicoli" a loro volta spesso invisibili per mercati e supervisori.

È nota l'opposizione della Gran Bretagna (tra l'altro l'unico "Grande" della Ue a non aderire all'euro). La resistenza è ovviamente guidata dalla City londinese che - per quanto semidistrutta dal collasso dei mercati - vuol mantenere il suo status sostanzialmente "apolide", senza fare i conti con i banchieri centrali del continente: in particolare quelli di Francia e Germania, oltre alla Bce e presidenza francese.

A due mesi dal G-20 di Londra, il contrasto tra le due sponde dell'Atlantico, non è stato ricomposto, anzi. La cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente francese Nicolas Sarkozy erano stati fermi verso il presidente americano Obama e il padrona di casa, il premier britannico Gordon Brown. La priorità era (e resta) la ricostruzione rapida delle regole su scala internazionale, dopo i gravissimi danni portati (soprattutto dalle banche d'affari di Wall Street) al sistema finanziario globale, in particolare alle grandi banche europee: orientate non solo ai mercati ma anche al credito all'impresa e alla gestione del risparmio delle famiglie.

Negli Stati Uniti - com'è noto - le grandi banche salvate con maxi-aiuti pubblici alla fine del 2008, stanno già premendo per la loro restituzione, in modo da tornare al più presto al "business as usual", archiviando i crack da subprime come un incidente di percorso della finanza globale. Questo forcing (che l'amministrazione Obama e la Fed stanno fronteggiando in modo elastico) trova un’ovvia sponda a Londra, altro pilastro della finanza anglosassone.

È questo "fronte di turbolenza" che rischia di far precipitare nel canale della Manica (se non in mezzo all'Atlantico) la nuova vigilanza Ue in fase di decollo. Proprio le elezioni europee, tuttavia, potrebbero pesare sulla bilancia. Da un lato una vittoria netta delle forze moderate (quelle che hanno come riferimento il Ppe) rafforzerebbe la fermezza "centro-continentale" sulle regole: e non è un caso che - già nei panni di "incoming president" del parlamento di Strasburgo - l'italiano Mario Mauro abbia lanciato un significativo attacco all'Antitrust Ue, finora marcatamente liberista.

Difendendo le agevolazioni fiscali al credito cooperativo (non solo italiano), Mauro ha dato un'indicazione politica chiara: l'Europa sente più fortemente l'esigenza di un sistema bancario meno speculativo e rischioso e più sano, regolato, orientato al servizio di famiglie, imprese e società civile. Non va d'altronde trascurata la singolare situazione politica britannica: il premier Gordon Brown è stato sfiduciato da sei suoi ministri. Resiste, ma in condizioni di estrema debolezza interna e quindi anche internazionale.

La posizione dell'Italia, nel frattempo, non è univoca. Anche se non più in presenza di tensioni aperte con il ministro dell'Economia Giulio Tremonti, il Governatore dalla Banca d'Italia, Mario Draghi è stato abbastanza chiaro nelle sue Considerazioni finali del 29 maggio: per lui il cantiere vero della nuova supervisione finanziaria globale è il Financial Stability Board, da lui stesso presieduto. Il Board erede strutturato del precedente Forum, secondo Draghi, ha ricevuto un mandato chiaro dal G-20 all'interno di un'exit strategy pilotata dal Fondo monetario internazionale (di cui, com'è noto, gli Stati Uniti hanno poteri dominanti nella nomina dei vertici).

In particolare, ha detto Draghi, l'Fsb ha poteri di coordinamento su tutti i «collegi di supervisori» che si dovessero formare nel dopo-crisi: dunque, par di capire, anche i nuovi "consigli europei" (di cui Draghi del resto dovrebbe far parte in quanto Governatore italiano) troverebbero già sopra le loro teste un ulteriore “organismo”. Tremonti, d'altronde, continua a essere fautore di una forte e veloce ri-regolazione europea dei mercati finanziari all'interno della sua visione critica dell'attività bancaria troppo proiettata sui mercati".
(Gianni Credit)