martedì 9 aprile 2013

Etf, dove nasce lo spread

Ho trovato un articolo interessante su Morningstar che in poche parole mostra un quadro completo delle principali scelte da fare per una scelta di investimento.

Liquidità del mercato sottostante, numero di market maker e fusi orari sono i principali fattori del divario tra prezzi di acquisto e vendita.

Quando si parla di costi degli Etp (exchange traded product) spesso si fa riferimento solo ai Ter, ossia le commissioni totali annue del prodotto. In realtà, nella scelta di investimento andrebbero considerati anche gli spread bid/ask (offerta e domanda d’acquisto). Abbiamo chiesto a Kris Walesby, Head of Capital markets di Etf Securities, quali sono i principali fattori che influenzano questi spread. Il primo, spiega, è la differenza tra lo spread del prodotto e quello del paniere sottostante. Infatti, anche se non sempre, spesso lo spread dell’Etp è più ampio di quello del suo sottostante. Un altro fattore è la volatilità, legata all’attività dei market maker. Il numero stesso di operatori fa la differenza: la competizione tra loro può portare gli spread verso il basso, mantenendoli vicini al Nav del replicante. Altro effetto di riduzione del prezzo è il fatto che il market maker abbia o meno scorte di Etf, esattamente come un grossista o un commerciante. Tali scorte evitano costi aggiuntivi rispetto al primo prezzo per soddisfare gli ordini che riceve. Ancora, se il mercato primario è chiuso o aperto comporta una differenza di costo. Quando il mercato primario su cui si compra l’Etf è chiuso per festività o altri impedimenti è molto probabile che gli spread siano superiori, poiché il market maker non ha potuto coprirsi nel momento dell’ordine su quel mercato.

Ordini, pochi o tanti
Meglio quindi tanti ordini, anche piccoli, o uno solo grande per rendere un Etf maggiormente liquido? L’ideale sarebbe molti grandi ordini accompagnati da ordini più piccoli (questi ultimi, infatti, denotano una forte presenza di una componente retail). Il problema di avere un solo ordine grande, secondo Walesby, è che “sicuramente è una buona cosa nel momento in cui si verifica, ma potrebbe non riuscire a essere scambiato successivamente.Il market maker è infatti tenuto a operare sul mercato per l’80-90% del tempo di apertura della Borsa, quindi se l’ordine avviene in un momento (nel restante 10-20% del tempo) in cui non è presente il market maker, nessun altro sarebbe in grado di contrattare." Inoltre, se vi è un solo grande ordine non è chiaro se il prodotto sia davvero competitivo, poiché mancano altri ordini con cui fare un confronto. Al contrario avere solo tanti piccoli contratti può far sembrare che non siano possibili ordini di più grande entità. In realtà, nell’universo degli Etf è possibile ricorrere ai “limit order”, definendo un prezzo preciso di vendita e di acquisto dell’Etf. È un metodo che attrae il market maker a operare dinamicamente quando deve negoziare strumenti meno liquidi e dagli ampi spread. In altre condizioni, invece, il rischio di utilizzare un ordine limitato è che non venga eseguito.

Visione di insieme
Il Ter, da solo, non basta a dare una visione complessiva dei costi di un Etf. Oggi, quindi, si sta sempre più diffondendo un approccio metodologico che mira a misurare l’impatto reale dei costi totali per un investitore che sottoscrive e detiene lo strumento per un predefinito periodo di tempo.

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