mercoledì 18 settembre 2013

Vendere o affittare: le due strade da seguire per evitare la mannaia sugli alloggi vuoti

Dal Corriere della Sera non arrivano bellissime notizie riguardo i nostri immobili...

Inutile farsi illusioni; le finanze pubbliche vogliono dal mattone 40 miliardi, quanti ne ha ottenuti nel 2012. Se si favorisce la prima casa, e si incentiva l’affitto — come sembra nei piani del governo — finiranno per pagare il conto gli altri immobili. Nel mirino ci saranno sicuramente le seconde case, a maggior ragione se verrà riproposta la norma sulla deducibilità Irpef e Ires dell’Imu, pagata per gli immobili strumentali.
Ricordiamo che questa disposizione era presente nella stesura originaria del decreto legge che ha cancellato l’Imu sulle abitazioni principali. E nell’intenzione dei tecnici del ministero dell’Economia la copertura sarebbe arrivata dalla reintroduzione al 50% della cosiddetta Irpef fondiaria sugli immobili non locati.
Ridurre i danni
Per i proprietari delle case a disposizione che non vogliano affrontare i costi quasi certamente maggiori delle imposte non rimangono che due strade: cercare di vendere o perlomeno di locare l’immobile. Se questo si trova in una località di villeggiatura, una soluzione potrebbe essere quella di affidarlo a una delle società specializzate che ne assumono la gestione e curano la locazione per brevi periodi (in genere a settimana) dell’alloggio, garantendo un rendimento con cui affrontare perlomeno le spese e riservandosi il diritto di utilizzare direttamente l’immobile per qualche settimana. Naturalmente se la casa è in montagna e la si vuole utilizzare a Capodanno o se è al mare, e la si vuole per agosto, il guadagno scende di molto.
Tenere inutilizzato un immobile oggi significa in termini concreti pagare una patrimoniale tra il 4 e il 5 per cento annuo sul suo valore, perché ai costi di manutenzione e all’Imu bisogna aggiungere il mancato introito degli interessi che si otterrebbero investendo il ricavato della vendita. E questo nell’ipotesi ottimistica che i prezzi rimangano invariati. Nelle località turistiche i valori negli ultimi due anni sono scesi in media di oltre il 10%, per il forte aumento di offerta anche nelle località di maggior prestigio e la scarsità della domanda; difficile pensare che il fenomeno non si accentuerà nel breve periodo.
E il discorso non cambia nelle grandi città. A Milano ad esempio aver scelto di non vendere una casa di 80 metri un anno fa significa aver perso complessivamente l’8,7 per cento sul capitale, perché a Imu, spese di gestione e perdita di interessi che ammontano al 4,7%, bisogna aggiungere una svalutazione dell’appartamento su base annua (dati Nomisma) del 4%; il risultato del conto effettuato con la stessa metodologia a Roma darebbe -9%.
Case ai familiari
Se sulle case vuote è chiaro che si andrà di fronte a un ulteriore incremento del carico fiscale, più difficile è prevedere che cosa succederà degli immobili dati in uso ai congiunti. Per la normativa Imu (ed è uno degli aspetti che hanno creato più polemiche), questi immobili sono considerati a tutti gli effetti seconde case.
Se rimarrà questa impostazione purtroppo non ci sono alternative: se si vuole dare un appartamento a un figlio, e non si vogliono pagare le imposte come seconda casa, bisogna intestargli perlomeno l’usufrutto, con un atto di vendita o di donazione. Una soluzione che però presenta molti problemi soprattutto se non si tratta di figlio unico. E con il rischio che ci vogliano poi molti anni per ammortizzare i costi notarili e fiscali legati all’operazione.
L’evoluzione
Sull’evoluzione della normativa poi pende un secondo dubbio: non è affatto chiaro se sparirà l’Imu. Se l'intenzione è quella di far pagare di più chi tiene la casa a disposizione la strada della Service tax non è praticabile, anzi: essendo una tassa, e quindi un corrispettivo di servizi erogati, non si può far pagare di più a chi usufruisce meno dei servizi.
Per mantenere un prelievo patrimoniale su questo tipo di immobili è quindi ipotizzabile che una quota di Imu (magari con un altro nome) finirà per rimanere. La strada alternativa, anche se impropria da un punto di vista formale, perché si applicherebbe un’imposta sui redditi per colpire un patrimonio, è quella del ritorno dell’Irpef, calcolata sul valore catastale dell’immobile.
Nella media delle grandi città l’applicazione dell’Imu ai livelli attuali sommata alla tasse rifiuti porterebbe a un costo medio superiore del 2% per il contribuente; il ritorno dell’Irpef fondiaria al 50%, come prevedeva la stesura originaria del decreto, farebbe scendere di circa il 10% cento il costo per un contribuente medio, ma difficilmente Erario e comuni si accontenterebbero.

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