Anche il requiem per l'Italia si è rivelato una scommessa sbagliata, così sostiene Il Sole 24 Ore.
Borsa in costante recupero, investitori esteri che tornano a comprare debito italiano, tassi al minimo storico sul breve termine e ai livelli pre-crisi sui decennali, ordini talmente sostenuti in asta da aver riportato il rendimento medio all'emissione attorno al 2%, valore prossimo ai minimi storici dell'ultimo decennio, mentre il tasso medio sull'intera consistenza dei titoli domestici è sceso al 4% dal 4,7% di due anni fa. Uno scenario come questo appariva a dir poco remoto dopo il voto delle politiche.
L'Italia, prigioniera dello stallo elettorale, dell'anti-europeismo e del populismo galoppante, priva di un governo e con un'economia in recessione profonda, sembrava destinata a una progressiva emarginazione dai mercati, tanto da far paventare ad alcuni economisti un imminente ricorso agli aiuti europei. E invece no. Come le previsioni sulla fine dell'euro con la crisi greca, o di una devastante fuga di capitali con il salvataggio di Cipro, anche il requiem per l'Italia si è rivelato una scommessa sbagliata. Certo i problemi restano, dal credit crunch alla peggiore crisi industriale e occupazionale dal dopoguerra. Ma non c'è dubbio che oltre (o forse anche grazie) alla spinta della liquidità di cui tutte le economie stanno beneficiando, l'Italia abbia saputo capitalizzare meglio di altri sul rapido miglioramento delle aspettative degli investitori. A cominciare dal livello tecnico: il Tesoro, modificando l'anno scorso le modalità e il caldendario delle emissioni, ha potuto infatti sfruttare positivamente le finestre di collocamento che si sono via via presentate, garantendosi in appena 4 mesi più del 40% del fabbisogno di rifinanziamento dell'intero anno.
Certo, la strada è ancora lunga e le incognite - non solo interne ma anche internazionali - altissime. Ma resta il fatto che uno scenario come quello attuale rappresenti il migliore che un governo di coalizione, metà tecnico metà politico, si potesse immaginare dopo mesi di vuoto politico e una gestazione tanto travagliata. Come capitalizzare ancora su questo trend sarà però il vero problema.
L'apparente fiducia che i mercati sembrano accordare all'Italia rende infatti ancora più alto il carico di responsabilità che grava sul nuovo esecutivo. Il Paese è in recessione, il lavoro manca, famiglie e imprese sono fiaccate dal fisco e le aspettative depresse da due anni di politiche del rigore. Pensare che agli investitori basti ora un nuovo governo e la promessa di un cambiamento della politica è illusorio e soprattutto pericoloso. I tre cardini programmatici dell'esecutivo a guida Letta - crescita, nuova Europa e riforme politiche - rappresentano esattamente ciò che i mercati chiedono all'Italia e al resto del mondo, ma per riconquistare la fiducia internazionale dopo quanto è successo servono soprattutto i fatti: riforme, certamente, ma anche il coraggio di imporre all'Europa una svolta per lo sviluppo, con meno attenzione ai dogmi tedeschi sul debito e sul deficit.
A dirlo non è soltanto il sistema economico, quello industriale o persino gli speculatori, che mai come ora stanno facendo incetta di debito, sovrano o aziendale. È la realtà dei fatti che lo impone. Mentre i grandi economisti di Harvard come Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff continuano a ripetere che il debito è il vero e unico grande male delle economie e che la sola cura valida resta quella del rigore, mai come ora il mercato è stato pronto a sostenere il contrario: basti pensare che in soli cinque anni, il debito sovrano collocato sui mercati è quasi raddoppiato a 23mila miliardi di dollari (cifra pari alla somma dei Pil di Usa e Cina), mentre i rendimenti medi sono addirittura scesi (secondo i calcoli di Bank of America Merrill Lynch) all'1,34% dal 3,28% di 5 anni anni fa. Con un calo così marcato dei tassi, alla forte richiesta di debito generata dalla liquidità si è ovviamente associata una domanda di rendimenti che ha però trovato pochi sbocchi: Bank of America ha calcolato che dei 23mila miliardi di dollari di debito sovrano circolante, ben 20mila miliardi di dollari abbiano oggi rendimenti inferiori all'1%. Ecco allora il motivo della corsa ai BTp, ai BoT, ai Bonos e persino ai bond del Rwanda e della Mongolia, new entry sul mercato dei capitali: la Mongolia - rating spazzatura - ha appena collocato 400 milioni di dollari di titoli a 10 anni con un tasso del 5,1%, quanto pagava l'Italia fino a poco tempo fa.
Insomma, per i governi, soprattutto quelli dell'area periferica dell'Euro, la situazione attuale presenta opportunità straordinarie, quasi irripetibili, per coniugare (e possibilmente attenuare) le politiche del rigore con quelle per la crescita e lo sviluppo. I mercati, in questo senso, sono oggi ben più avanti della Merkel, dei falchi della Bundesbank e soprattutto dei grandi teorici del rigore, gli unici a non essersi accorti che le politiche espansive delle banche centrali hanno smentito gli assunti di tante teorie.
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