Un’indagine della banca centrale fa emergere come il nostro sistema produttivo sia stato interessato in larga parte da un processo di ristrutturazione avviato all’inizio di questo decennio e volto ad un recupero del valore aggiunto e della produttività del lavoro (attraverso una crescita della scala dimensionale, dell’intensità tecnologica e dell’apertura internazionale).
Le imprese ristrutturate e finanziariamente più solide, sono oggi in grado di affrontare meglio la crisi, consolidando il primato tecnologico e diversificando i mercati di sbocco. Quelle, più numerose, che hanno dovuto fare ricorso all’indebitamento si trovano adesso di fronte a tensioni di liquidità (mancati incassi, restrizioni creditizie e difficoltà ad accedere al mercato dei capitali) che rischiano di vedere pregiudicati seriamente gli sforzi della ristrutturazione o, addirittura, di essere travolte dalla crisi stessa, come succede alle imprese più piccole (con meno di 20 addetti), a quelle del Mezzogiorno o a quelle sub-fornitrici di imprese maggiori, da cui subiscono tagli negli ordinativi o ritardi nei pagamenti.
C’è una crisi nella crisi che rischia di aumentare la mortalità delle imprese aggiungendo a quelle spazzate via per ragioni di inefficienza (la shumpeteriana “distruzione creatrice”), le aziende che soffrono soltanto di “asfissia finanziaria”, e che avrebbero invece tutti i numeri per prosperare, una volta superata la fase critica legata al ciclo economico.
L’asfissia finanziaria, confermata dall’andamento riscontrato di recente sul mercato dei prestiti bancari, può essere evitata sia con l’intervento pubblico sia con quello delle banche. Per il primo si tratta, oltre che dell’accelerazione dei pagamenti da parte della pubblica amministrazione, come si è detto, anche del potenziamento del Fondo di garanzia per le Pmi e della estensione di garanzie per il ripristino, ad esempio, del mercato delle cartolarizzazioni bancarie.
(Rocco Corigliano, Ilsussidiario)
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