mercoledì 30 gennaio 2013

Mutui, perché uno spread all'1% è ormai un'illusione. Ecco la formula che utilizzano le banche

Il Sole 24 Ore mostra un interessantissimo articolo da non perdere:
Nessuna scossa sul mercato dei mutui. Anche questa settimana è iniziata con gli stessi spread. Mediamente al 4,05%, nelle migliori offerte al 2,85% (tasso variabile) e 3% (tasso fisso). Una storia che ormai va avanti da oltre un anno.
A quanto risulta al Sole 24 Ore, però qualche istituto è pronto a lanciare a breve campagne pubblicitarie per rilanciare le erogazioni di mutui attraverso una riduzione degli spread verso quota 2,7%. Decisivo sarà l'esito delle elezioni. Alcuni istituti, infatti, prima di ridurre un po' gli spread (e rendere quindi più competitivi i mutui in un mercato immobiliare peraltro ingessato anche da una bassa domanda) aspettano di vedere come andrà la tornata elettorale di fine febbraio sperando che non porti scossoni al debito pubblico e all'altro spread, quello tra BTp e Bund.
In ogni caso, pur ipotizzando uno scenario elettorale poco turbolento e considerando che negli ultimi mesi le banche hanno beneficiato dello scudo anti-spread lanciato da Draghi e dell'allentamento dei vincoli patrimoniali dei Basilea III, le aspettative di riduzione degli interessi sui nuovi mutui restano magre. Se è vero che le nuove migliori offerte si potrebbero attestare con uno spread intorno al 2,7%, è vero anche che siamo lontani anni luce da luglio 2011, quando si stipulavano mutui in Italia con sopread allo 0,9%.
Perché siamo ancora così distanti? Per capirlo bisogna scomporre lo spread e vedere come le banche lo calcolano.
Innanzitutto usciamo da un luogo comune, quello che vede lo spread associato al margine di guadagno della banca sul mutuo. Il margine di guadagno è uno dei tre elementi che compongono lo spread. Gli altri due sono: il costo di raccolta del denaro all'ingrosso e i costi di copertura dal rischio di oscillazione dei tassi.

I costi di raccolta
Quanto al primo punto le banche, come qualsiasi negoziante, comprano il denaro all'ingrosso (mercato interbancario) e lo rivendono a un costo maggiorato al dettaglio (attraverso prestiti e mutui).
Come si misurano i costi di raccolta capitali delle banche sul mercato interbancario? Normalmente basta vedere l'andamento dei principali indici interbancari, gli Euribor (per le durate brevi, da 1 settimana a 12 mesi) e gli Eurirs (per le durate più lunghe) . La crisi finanziaria in corso ha però evidenziato le lacune del cacolo dell'Euribor, che esprime la sintesi dei tassi a cui un panel di 39 banche internazionali (perlopiù europee) dichiara di prestarsi soldi. In questo momento l'Euribor a 1 mese è allo 0,12% mentro quello a 12 mesi è allo 0,6%. Tassi molto bassi, addirittura più bassi del tasso di riferimento della Bce (0,75%). Poi ci sono gli Eurirs che viaggiano più cari in quanto la durata aumenta: il tasso a 10 anni è all'1,87%, quello a 20 al 2,39% e quello a 25 al 2,43%. Si tratta dei minimi di tutti i tempi.


Nessun commento:

Posta un commento