La già lunga lista delle società che hanno avviato misure di rafforzamento patrimoniale (Pirelli Re, Camfim, Enel, Sam, Seat, Tiscali… solo per citare alcuni casi italiano, ma la tendenza è largamente diffusa in tutta Europa) è probabilmente destinata ad aumentare ulteriormente nei prossimi mesi.
Si tratta ovviamente di un effetto della crisi finanziaria, che ha posto alle aziende gravi problemi che meno di un anno fa sarebbero stati facilmente evitati. Trovarsi improvvisamente con una domanda di prodotti o di servizi inaspettatamente più bassa anche di molti punti percentuali rispetto alla norma mette la struttura finanziaria di qualsiasi impresa sotto stress, sia perché con meno ricavi diventa più difficile onorare le scadenze del debito, sia perché è facile ritrovarsi alle prese con un’esplosione imprevista del circolante. Alcune società invece si sono trovate improvvisamente “fuori mercato”, dopo essere state abituate per anni a condurre la propria attività con alti livelli di debito e la pressione delle banche creditrici, a vario titolo, è stata tale che si è dovuta cambiare la modalità stessa con cui si era operato fino a pochi mesi prima. Tanto debito in caso di attività profittevole, specie nel breve periodo, non fa altro che aumentare i ritorni dell’azionista ma per ovvi motivi rende la società più esposta ai rischi derivanti da momenti di incertezza e recessione.
Non sono quindi solo le banche ad avere calcato troppo la mano con l’assunzione di rischi insostenibili nel medio-lungo periodo o a essersi trovate impreparate e inadeguate alle mutate condizioni di mercato, ma anche parte del mondo produttivo.
C’è da dire che le uniche a non avere perso il proprio “sano” sospetto verso debiti ingiustificati e operazioni finanziarie stranamente alla moda sono state le piccole imprese italiane.
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